Il primo aeroporto di Roma (e dell’intera Italia) si trova a Centocelle. L’attività è cessata ormai da tempo e il grande campo, intitolato a Francesco Baracca, oggi è sede di un’installazione militare. Nessuno decolla più da queste piste. E dire che è proprio su questo terreno che i primi piloti italiani imparano l’arte di librarsi nel cielo, sotto la guida di un maestro d’eccezione: Wilbur Wright.
Insieme al fratello Orville, Wilbur Wright è uno dei più importanti pionieri del volo. I loro esperimenti cominciano con un rudimentale aquilone, costruito nel 1899. Sembra quasi un giocattolo, ma è l’inizio di una rivoluzione. Di lì a pochi anni, infatti, i due fratelli ingegneri mettono a punto la loro creatura: il Flyer, il primo velivolo a motore, una macchina più pesante dell’aria, capace di innalzarsi tra le nuvole. La notizia dei loro successi valica l’oceano e arriva anche in Italia, a Roma.
Qui, fin dal 1904, esiste un club di appassionati di volo, guidato dal maggiore Maurizio Moris. È proprio questo gruppo a invitare Wilbur nella Capitale per dare una dimostrazione del suo “aeromobile”. E a pagarlo perché dia lezioni a due giovani piloti: il tenente di vascello Mario Calderara e il tenente del genio Umberto Savoia.
Così, nell’aprile del 1909, Wright parte da Parigi a bordo di un treno diretto nella Capitale. Con sé, riposto smontato in alcune casse, porta il Flyer. Il Club ha già preso in affitto il pratone di Centocelle e allestito un hangar in cui custodire quel piccolo gioiello. Un capannone in cui Wright stesso dorme, deciso a non perdere mai di vista il suo velivolo. Per giorni, i giornalisti si accalcano intorno a lui per strappargli un commento o un’informazione utile. Ogni volta, però, se ne vanno delusi. Finché, il 15 aprile 1909, Wright si alza in volo su Centocelle, dando il via ufficialmente all’epopea dell’aviazione italiana.
(Sara Fabrizi)