La storia di Roma ruota anche intorno alle inondazioni del suo fiume, tant’è che i centri politici dell’antichità furono costruiti sui colli per tenerli lontani dagli straripamenti. L’ultima vera grande esondazione del Tevere risale al 28 dicembre 1870, quando la piena arrivò a quasi diciotto metri d’altezza. Roma, che di lì a poco sarebbe diventata capitale del Regno d’Italia, non poteva permettersi di essere succube dell’umore del fiume, così venne costituita una commissione per cercare di “arginare” il problema.
Il progetto scelto fu quello dell’ingegnere Raffaele Canevari, che prevedeva la costruzione di muraglioni alti poco più di diciotto metri e di agevolare lo scorrimento del fiume eliminando l’isola Tiberina, idea, quest’ultima, mai concretizzata. L’innalzamento degli argini cambiò per sempre l’assetto paesaggistico dell’Urbe. Per quanto indispensabili alla tranquillità della vita quotidiana, queste alte pareti e le conseguenti costruzioni dei vari lungotevere hanno allontanato Roma dal suo fiume.
Pitture e vecchie fotografie possono dare un ricordo di quell’antica e pericolosa armonia. Anche i poeti si rammaricarono della perdita. Luigi Pirandello, che a Roma studiò e visse, gli dedicò un componimento, Il pianto del Tevere: “Non lo vedrete più com’io lo vidi / per Roma, un giorno, il Tevere passare / tra i naturali suoi scoscesi lidi…”.
(di Gianluigi Spinaci)