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Pietro Neri, il papà del Chinotto che sfidò la Coca-Cola

Lungo via del Mandrione, all’altezza del civico 334, un tempo c’era una fabbrica. Era la prima sede di una storica azienda italiana: il Chinotto Neri, nata dalla geniale intuizione di un brillante imprenditore. Il suo nome è Pietro Neri.

È il 1949, l’Italia, lacera e ferita, si sta rialzando faticosamente dal baratro scavato dalla Seconda guerra mondiale. Ancora una manciata d’anni e comincerà a correre, sull’onda del Boom economico. Al Mandrione c’è già un piccolo stabilimento produttivo. Appartiene al padre di Pietro, che produce ghiaccio. È qui che il giovane, all’epoca ventisettenne, comincia i suoi esperimenti. Vuole mettere a punto una bibita rinfrescante, simile a quelle arrivate sul mercato italiano dagli Stati Uniti, come la Coca-Cola. Zucchero non ce n’è molto a disposizione. Lo si sostituisce con la saccarina che, però, è un po’ troppo dolce. Così, Pietro pensa di utilizzare come base della sua ricetta il chinotto, un agrume dal sapore aspro, e l’arancia amara. Li miscela con altre erbe, come verbena e camomilla, fino a ottenere una bevanda dal retrogusto caratteristico.

Così, nasce il Chinotto Neri.

Una bellissima foto di Pietro Neri, dal profilo Facebook di Christian Tortore

Gli ingredienti per il successo ci sono tutti: una ricetta segreta e originale e un ottimo marketing. A partire dal nome – Chin8 Neri – impresso a rilievo sulle bottiglie di vetro, prive di etichetta. Un nome che si presta ai giochi di parole degli slogan che vengono lanciati di lì a poco: “Non è Chinotto se non c’è l’8” e “Se bevi Neri, ne ribevi”. Ben presto, Pietro può aprire una fabbrica a Capranica, dove il chinotto viene prodotto con acqua sorgiva che sgorga a 300 metri sul livello del mare. Quelle bottiglie conquistano un posto d’onore sulle tavole degli italiani che, a sera, di fronte alla televisione, sentono pubblicizzare il Chinotto Neri anche negli spot di Carosello.

Purtroppo, la parabola di Pietro Neri si interrompe bruscamente. Alcuni investimenti sbagliati lo portano sull’orlo del fallimento. Alla fine degli anni Sessanta, è costretto a cedere lo stabilimento e il marchio. La ricetta segreta, però, resta un patrimonio di famiglia. Sul letto di morte, Pietro la consegna al nipote, Simone, strappandogli una promessa: rilanciare il suo Chinotto. Comincia così una nuova storia, quella del ChinottISSIMO.

(Sara Fabrizi)

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©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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