Quello scoppiato nel dicembre del 62 a.C. a casa di Giulio Cesare è passato alla storia come lo scandalo della Bona Dea. I Damia, così erano chiamati i riti in onore della Bona Dea, si tenevano alla presenza solo di donne e si svolgevano in casa di Cesare, presieduti da sua moglie Pompea. Della donna si era innamorato il giovane aristocratico Clodio, che decise di tentare un incontro galante proprio in occasione dei riti sacri, approfittando dell’assenza di altri uomini. Si introdusse in casa di Cesare con l’abito e l’acconciatura da donna, ma si imbatté in un’ancella che scoprì l’inganno e informò subito la madre di Cesare, Aurelia Cotta, che lo scacciò immediatamente.
La notizia si sparse rapidamente a Roma: Clodio aveva compiuto sacrilegio e doveva renderne conto alla città e agli dei, e così il Senato nominò un tribunale speciale per processarlo. Contro di lui testimoniò Cicerone, che disse di aver visto personalmente Clodio poco prima che si intrufolasse nella casa di Cesare. Ma fu proprio il futuro dictator, a sorpresa, a scagionare Clodio con la propria versione, sostenendo che “la moglie di Cesare deve essere al di sopra di qualunque sospetto”.
Clodio fu assolto, con trentuno giudici che votarono per l’assoluzione e venticinque per la sua condanna, e più tardi troverà anche modo di vendicarsi di Cicerone: nel 58 a.C. fece approvare una legge che prevedeva l’esilio per Cicerone, la confisca dei suoi beni, la condanna a morte per lui e per chi l’avesse ospitato, se fosse stato trovato in un raggio di circa 740 chilometri dall’Italia.
(di Gianluigi Spinaci)