A pochi metri dal Faro del Gianicolo, ormai secca e disadorna, si erge, guardando dall’alto sulla sinistra, una quercia. La targa sotto l’albero, posta dal Comune di Roma nel 1898, recita: “All’ombra di questa quercia Torquato Tasso vicino ai sospirati allori e alla morte ripensava silenzioso le miserie sue tutte”.
Ospite del vicino convento di Sant’Onofrio, Tasso passò i suoi ultimi giorni di vita su questo colle a passeggiare, a riflettere e a scrivere lettere proprio sotto la quercia che, nel 1595, era sicuramente rigogliosa. La sua vita fu un susseguirsi di delusioni: non fu mai convinto della pubblicazione della sua opera più famosa, il poema epico Gerusalemme liberata, avvenuta senza il suo consenso, fatto che lo portò a continue polemiche con l’Inquisizione e con l’allora neonata Accademia della Crusca.
Giunto a Roma nella speranza di essere incoronato con l’alloro poetico, come avvenne per Petrarca nel 1341, non ebbe la forza di attendere questo onore e morì nel convento di Sant’Onofrio, dove è sepolto. Proprio all’ombra della quercia egli scrisse: “Perch’io mi sento al fine de la mia vita […]. Non è più tempo ch’io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l’ingratitudine del mondo”.