Il 24 marzo 1944 è uno dei giorni più bui della storia di Roma: 335 uomini vengono trucidati nelle cave di pozzolana situate nei pressi di via Ardeatina. È una rappresaglia per l’azione partigiana messa in atto in via Rasella il giorno precedente e che ha causato la morte di 33 nazisti. Adolf Hitler, furioso per il successo dell’attacco dei partigiani, dà l’ordine per una reazione che faccia “tremare il mondo”.
Il comando tedesco di Roma decide la “punizione esemplare”: per ogni tedesco morto devono essere uccisi dieci italiani. Il capo della Gestapo a Roma, Herbert Kappler, interagendo con il questore Caruso, inizia subito a stilare la lista di chi deve essere ucciso. Sono 335 uomini e ragazzi, tra detenuti civili e militari, ebrei e semplici sospetti antifascisti. Moriranno poche ore dopo con un colpo di pistola alla nuca. A tenere in mano la lista, spuntando i nomi delle persone già uccise, è il vicecomandante della Gestapo a Roma, Erich Priebke. Completate le esecuzioni, i nazisti fanno saltare con l’esplosivo gli ingressi delle cave per occultarne all’interno i cadaveri.
Nella tarda serata dello stesso giorno, appena dopo la fine delle uccisioni, il comando nazista dirama alla stampa un comunicato nel quale si afferma di aver “ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”. Solo nei giorni successivi, i romani si rendono conto di cosa è accaduto.
(di Gianluigi Spinaci)