All’ingresso del ristorante Meo Patacca, in piazza dei Mercanti, a Trastevere, c’è una grande statua in bronzo. Raffigura un uomo corpulento, con un gran paio di occhiali scuri, la bombetta in testa e una chitarra a tracolla. Dalla bocca, semiaperta, sembra quasi stiano per uscire le strofe di uno stornello. Siamo di fronte a uno dei personaggi più celebri della Roma che non c’è più. È il sor Capanna, l’ultimo dei cantastorie romani, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Una rara foto del Sor Capanna (dal profilo Fb di Claudio Tescari)
I grandi occhiali che porta non sono un vezzo. Li indossa a causa di una grave congiuntivite che gli è stata causata da un incidente sul lavoro. Forse, come dicono alcuni, è stata la vampa della caldaia in cui scioglieva la cera per fare candele a procurargli questo disturbo. Altri ritengono che il problema sia nato quando faceva il muratore. Fatto sta che, a un certo punto della sua vita, Pietro perde quasi la vista e con essa la possibilità di lavorare. È così che, per procurarsi da vivere, si dà all’arte di strada. Il canto è sempre stato un hobby. Ora lo fa diventare il suo mestiere. Con la chitarra in collo, comincia a girare per le osterie, strimpellando motivetti orecchiabili. La sua specialità, però, è l’improvvisazione.
Prendendo spunto da fatti di cronaca locali o avvenimenti di rilievo internazionale, il sor Capanna inventa gustosi stornelli, canzonette e parodie. La sua pungente ironia gli assicura un grande successo. Soltanto la vecchiaia lo allontanerà dalle scene, togliendogli la forza necessaria alle sue performance. La sua ultima esibizione avviene nel 1920, sullo spiazzo di fronte alla Colonna Traiana. Un minuto prima sta intrattenendo il suo pubblico. Un minuto dopo è a terra, accasciato sotto la sua chitarra. Al Policlinico, dove lo ricoverano, gli diagnosticano una bronchite asmatica. Le sue condizioni si aggravano a causa di una serie di altre patologie. Muore il 21 ottobre 1921.
(Sara Fabrizi)