I Musei Vaticani sono uno scrigno di bellezze senza fine. Tra le opere più note qui custodite c’è sicuramente il Laocoonte, il gruppo scultoreo che rappresenta un noto episodio dell’Eneide, in cui il sacerdote troiano Laocoonte e i suoi figli vengono attaccati da un mostro marino. Il suo ritrovamento risale al gennaio del 1506, a opera di un ignaro scopritore. Si tratta del nobile Felice de Fredis, membro di un’antica famiglia romana, oggi sepolto nella chiesa di Santa Maria in Ara Coeli, in Campidoglio. L’epitaffio inciso sulla sua tomba ricorda proprio quell’evento fortuito che consegna il nome di Felice all’eternità.
Quel 10 gennaio, la scultura riemerge dall’oblio all’interno di una vigna che il nobile de Fredis ha da poco acquistato sul colle Oppio. La notizia del rinvenimento circola rapidamente, destando stupore e meraviglia. Ben presto arriva alle orecchie del papa, Giulio II, che decide di indagare più a fondo. Così, il pontefice manda sul posto Michelangelo e Giuliano da Sangallo perché vedano con i propri occhi l’opera che ha suscitato tanta curiosità. Vuole capire se vale la pena interessarsene. Nel giro di qualche giorno, Felice de Fredis si trova letteralmente assediato da curiosi e potenziali compratori. Tutti vogliono far entrare quel pezzo nella propria collezione e sono disposti a offrire cifre ragguardevoli.
Intenzionato a proteggere la preziosa scultura, De Fredis se la mette in casa. Arriva al punto di custodirla nella propria camera, vicino al letto, in modo da non perderla mai di vista. Sarà il pontefice, Giulio II, ad assicurarsi la proprietà del Laocoonte, offrendo in cambio i diritti relativi al dazio sulla Porta Asinaria. Uno scambio, purtroppo, non molto equo per il povero De Fredis, che avrà molte difficoltà a riscattare il prezzo pattuito.
(Sara Fabrizi)