Passeggiando su via Campania, in direzione di Porta Pinciana, ci si imbatte in un gigantesco busto, addossato alle Mura Aureliane. Raffigura un uomo dal volto fiero, i capelli che ricadono sulle spalle, rivestito di tunica. Dicono si tratti di Flavio Belisario, il grande generale bizantino inviato alla riconquista delle province dell’impero d’Occidente, ormai in mano ai barbari.
Al tempo – siamo nel VI secolo d.C. – sono gli Ostrogoti a dominare l’Italia, sotto la guida del loro re, Vitige. È il 9 dicembre del 536 d.C. quando Belisario, dopo una travolgente campagna, arriva alle porte di Roma. I cittadini decidono di accoglierlo come liberatore, mentre il presidio militare barbaro presente in città batte in ritirata strategica. Sono troppo pochi per resistere a quell’esercito che è riuscito, appena qualche mese prima, a espugnare Napoli.
Belisario non perde tempo a festeggiare questa nuova conquista. Non è uomo da lasciarsi andare a bagordi e frivolezze. Consapevole che il nemico tornerà alla carica, si preoccupa di allestire le migliori difese possibili. Si prepara a sostenere un assedio, asserragliato dentro le mura dell’Urbe. Egli pone il suo quartiere generale proprio in quest’area, vicino a Porta Pinciana. Appena due mesi dopo, un esercito sterminato marcia in armi contro Roma e la stringe in una morsa mortale.
In questo frangente, Belisario dimostra tutta la propria abilità di stratega. Nonostante le difficoltà e le provocazioni dell’avversario, mantiene ferma la sua linea d’azione. Non ha molti soldati ai suoi ordini. E i romani, prostrati dalla fame e dalla paura, vorrebbero cedere. Ma lui porta avanti una guerra di logoramento, fatta di incursioni e piccole sortite, volta a snervare i nemici e a portarli allo sfinimento. Riuscirà nel suo intento. Dopo un anno, nel marzo del 538 d.C, Vitige darà l’ordine di ripartire, abbandonando il campo di battaglia.
(Sara Fabrizi)