Sotto l’altare maggiore della chiesa di San Pietro in Montorio c’è una tomba senza nome. Appartiene a Beatrice Cenci, la giovane nobildonna che si macchiò del sangue del proprio padre, finendo sul patibolo.
Beatrice, però, in questa storia è la vittima, non la carnefice. L’uomo che l’ha messa al mondo, il conte Francesco Ceci, è tutto fuorché un padre amorevole. Violento e dispotico, incline a a macchiarsi di ogni sorta di nefandezza, finisce più volte sul banco degli imputati. Tutti i processi contro di lui, però, si risolvono in una bolla di sapone. Pur colpevole, gli basta pagare, attingendo al suo vasto patrimonio, per uscirne pulito. La vita dei suoi familiari, dei figli e della moglie, è un incubo. Francesco abusa della propria autorità, li maltratta. Forse, arriva anche ad insidiare Beatrice, forzandola perché giaccia con lui, come un amante incestuoso.
Pur di sfuggire alle sue attenzioni, la sorella maggiore di Beatrice, Antonina, invia una supplica al Papa perché le trovi un marito o le conceda di farsi monaca e chiudersi in convento. Lei può sottrarsi al giogo paterno, Beatrice no. Nel 1595, Francesco la rinchiude insieme alla matrigna nel castello di Petrella Salto, vicino a Rieti. Non vuole assolutamente darla in sposa. Ciò, infatti, significherebbe dover pagare un’ingente dote, che il conte non può permettersi, avendo dilapidato il proprio patrimonio. Probabilmente, è durante quei lunghi mesi di prigionia che la giovane Beatrice matura il proposito di eliminare il proprio aguzzino. Ad aiutarla nell’impresa, secondo la ricostruzione processuale, sono la matrigna, Lucrezia Petroni, i fratelli Giacomo e Bernardo e due servitori.
La notte del 9 settembre 1598, Francesco Cenci viene prima stordito con l’oppio, poi massacrato nel suo letto. I suoi assassini tentano di farlo passare per un drammatico incidente, gettando il corpo giù dal balcone della stanza. Ma le circostanze di quella morte sono troppo sospette. Le autorità indagano, raccolgono indizi, sentono testimoni. Giungono così a mettere le mani su uno dei complici, Olimpio Calvetti, esecutore materiale dell’omicidio. Basta minacciarlo di tortura per convincerlo a parlare. Beatrice e i suoi familiari vengono incriminati e portati a processo. Papa Clemente VII non fa loro alcuno sconto. Suppliche e preghiere di grazia non riescono a fare breccia nel suo cuore. Vuole che gli assassini siano puniti nel modo più esemplare.
Beatrice affronta la morte a testa alta. È l’11 settembre 1599 quando la conducono sul patibolo, nella piazza di Castel Sant’Angelo. La spada del boia brilla nel sole del primo mattino, prima di calare sul suo collo nudo.
(Sara Fabrizi)