Quando si parla di lui, viene subito in mente il volto di Enrico Montesano, che lo interpreta nell’omonima commedia diretta da Sergio Corbucci. Ma il conte Tacchia è realmente esistito. Il suo nome riecheggia per le strade di Roma e ci conduce fino in piazza dell’Orologio, di fronte a Palazzo Bennicelli.
È qui che, nel 1860, viene alla luce Adriano Bennicelli, vero nome del conte Tacchia. Per quanto si atteggi da aristocratico, non ha sangue blu nelle vene. Suo padre, Filippo Bennicelli, in origine è un semplice commerciante di legname. Un borghese che riesce a fare molta fortuna con la propria attività, tanto da ottenere dal papa in persona, Pio IX, la nomina a conte. La nobiltà di Adriano, dunque, è un’acquisizione recente. E il popolo di Roma, incline allo scherzo e all’arguzia, non manca di ricordarglielo. Così viene coniato il nomignolo “Tacchia”, associandolo al titolo onorifico. “Tacchia” nel dialetto romanesco, significa “pezzo di legno”. È un modo spiritoso di ricordare ad Adriano da dove viene. Sempre elegantissimo, con tight, bombetta e monocolo, quando si sente appellare in quel modo, Adriano dà in escandescenze e copre di insulti coloriti il suo interlocutore, attingendo a piene mani dal vocabolario romanesco.
Smargiasso, eccentrico e scanzonato, spesso lo si vede in giro per Roma sulla sua carrozza. È appassionato di cavalli, quindi ama tenere le redini e condurla lui stesso. Ma la sua guida spericolata causa non pochi problemi e incidenti. È il terrore dei vetturini, con cui finisce sempre per litigare. Delle multe gli importa poco. Gli piace da impazzire esibirsi in pubblico, attirare l’attenzione su di sé. Quando scompare, nel 1925, Roma tutta piange un personaggio divenuto indimenticabile.
(Sara Fabrizi)
Foto da turismoroma.it