Piazza Vittorio Emanuele II, centro nevralgico dell’Esquilino, custodisce i segreti di un singolare personaggio vissuto nel Seicento. Qui, infatti, in quell’epoca, si estende la villa di Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte. Un nobile appassionato di poesia ma anche di occultismo ed esoterismo, dedito a studi di alchimia. Si destreggia, tra alambicchi, storte e crogioli, alla ricerca della formula per ottenere la pietra filosofale e trasformare il vile piombo in oro zecchino. Al tempo, non è l’unico a tentare l’impresa. La regina Cristina di Svezia, di cui è amico, condivide con lui simili interessi.
Nella grande dimora all’Esquilino, ha fatto allestire un laboratorio, dove accoglie amici e compagni di ricerca. Un giorno, un anonimo pellegrino varca il cancello e si mette a perlustrare il giardino della villa. Un servo lo nota e va a riferire al marchese, che si fa portare lo sconosciuto. Quello gli dice di essersi spinto fin qui per trovare una certa pianta, un ingrediente speciale. Poi chiede di essere poter accedere al laboratorio, per dimostrare al padrone di casa cosa è in grado di fare. Il nobile Palombara si lascia convincere, decidendo di ospitarlo per la notte.
Il mattino seguente, però, quando va a cercarlo, il pellegrino è sparito. Sul pavimento del laboratorio, vicino al crogiolo rovesciato, c’è una strana sostanza congelata. Il marchese rimane sconcertato: è oro puro. Il suo ospite ha lasciato sul tavolo un foglio coperto di appunti: simboli, lettere, frasi enigmatiche. Per quanto si sforzi, Palombara non riesce a decifrarli. Decide, allora, di farli incidere sugli stipiti delle porte della sua dimora, alla vista di tutti. Spera, forse, di trovare qualcuno che possa aiutarlo a sciogliere l’arcano.
(Sara Fabrizi)