Fino alla fine degli anni Trenta, i buongustai della Capitale fanno tappa fissa in piazza dei Cinquecento. Qui, nel padiglione di sinistra della vecchia stazione Termini, ha sede il ristorante Grand’Italia. È un locale elegante, molto in voga tra personalità di spicco, politici, sportivi, poeti e artisti, che si lasciano deliziare dalle leccornie offerte dal menu. Tra le portate che si possono ordinare: bianchetto di vitella in cocotte (7 lire), petti di pollo alla finanziera (7,50 lire), prosciutto e fischi (4,5 lire), spumone di caffè (3,5 lire).
Ma il piatto forte della casa sono i carciofini sott’olio. Il proprietario del ristorante, il cavalier Valiani (il sor Angiolo, per chi ha confidenza) se li fa arrivare direttamente da un suo terreno a Orbetello, dove li coltiva con cura amorevole. Seleziona soltanto quelli più piccoli e teneri, perfetti per essere portati in tavola come antipasto.
I carciofini sott’olio sono la sua grande fortuna, tanto che il sor Angiolo ne è quasi ossessionato. Impossibile non notare, quando lo si incontra, che egli ha trasformato quest’umile ortaggio in un vero e proprio emblema, da sfoggiare con orgoglio. Ne ha uno, ricamato in filo d’oro, sulla larga cravatta, tenuta ferma da una spilla che ha sempre la forma di un carciofo. Anche i gemelli che indossa sui polsini hanno quel singolare aspetto.
Ai tavoli del ristorante può capitare di vedere diversi calciatori. La Lazio, infatti, organizza spesso i propri banchetti ufficiali qui, invitando a pranzo dirigenti e giocatori delle squadre avversarie. Tra gli avventori abituali figura anche il grande poeta romanesco Trilussa, che è solito chiedere un piccolo sacchettino per gli avanzi, quella che oggi chiameremmo “doggy bag”, da portare ai propri gatti.
(Sara Fabrizi)
Foto nella pagina di presentazione dal profilo Facebook Dottrina dell’archiettura