“Caffé dei pittori”. Così recita l’insegna di un piccolo locale in via Flaminia 57. Ai tavoli esterni, all’ora di colazione o in pausa pranzo, si vedono soprattutto i ragazzi che frequentano la vicina facoltà di Architettura. Una scena completamente diversa da quella che si sarebbe potuta vedere negli anni Cinquanta. Quando i “pittori” citati nel nome dell’odierno locale venivano davvero a mangiare qui. Questa, al tempo, è la storica osteria dei fratelli Menghi.
Gli artisti, che spesso faticano a mettere insieme qualche soldo, trovano sempre un pasto caldo e un po’ di vino dai fratelli Menghi. Naride e Domenico, infatti, fanno credito a tutti. Spesso, per ripianare i debiti, accettano anche di essere pagati con un disegno o un’incisione. In un certo senso, con la loro generosità, sovvenzionano i giovani talenti. Tra gli avventori, tanti sono gli esponenti delle nuove avanguardie. L’elenco è lungo, sembra quasi quello di un catalogo di mostra: Mario Mafai, Giulio Turcato, Pietro Consagra, Antonio Corpora, Franco Emanuel Solinas, Salvatore Scarpitta.
Scarpitta ama raccontare spesso un’avventura vissuta da ragazzino. Risale al marzo del 1931, quando aveva 12 anni e la sua famiglia viveva in California. Un giorno, suo padre aveva tentato di coinvolgerlo nei lavori domestici. Lui si era rifiutato e per sfuggire alla punizione era salito in cima a un albero del pepe. A sera, ne era ridisceso, riconciliandosi con il genitore. La vicenda, attraverso il passaparola, finì sui giornali. L’improvviso successo convinse il giovane a risalire sull’albero per rimanerci molto più a lungo, stabilendo un vero e proprio record.
Se la storia vi sembra familiare, c’è una ragione. Una sera del 1950, a un tavolo dell’osteria fratelli Menghi, si trovano insieme Scarpitta e Italo Calvino. Lo scrittore ascolta quell’insolito episodio dalla bocca del suo stesso protagonista e ne rimane molto colpito. Sette anni dopo, pubblicherà Il Barone Rampante.
(Sara Fabrizi)