A cura di Fabio Canessa
Podcast a cura di Alessandra Accardo
Progetto grafico di Stefano Cipolla
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La Roma stravissuta di Pasolini
Gli anni appassionati e spericolati dello scrittore nella Capitale
All’alba del 28 gennaio 1950 Pier Paolo Pasolini arriva a Roma insieme alla mamma Susanna Colussi. Nato a Bologna il 5 marzo del 1922, dopo pochi mesi si trasferisce con la famiglia a Conegliano (Treviso) e, dall’età di sette anni, a Casarsa della Delizia (Pordenone), paese natale della madre.
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Laureato in Lettere all’Università di Bologna, Pasolini insegna alle scuole medie a pochi chilometri da Casarsa. Il 30 settembre 1949, durante una festa nel vicino paese di Ramuscello, si apparta con quattro ragazzi e viene denunciato dai genitori di uno di essi. L’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore gli costa l’espulsione, per indegnità morale, sia dall’insegnamento che dal Pci. Per questo motivo descrive il viaggio a Roma “su un treno lento come un merci” come la fuga di “un condannato a morte sempre con quel pensiero come una cosa addosso”. Ma la sensazione di “disonore, disoccupazione, miseria” si trasformerà presto nell’esaltazione provocata dall’incontro con la città di Roma.
Pasolini rimane fulminato dalla metropoli: sia sul versante culturale che umano fin nei suoi aspetti più intimi, incluso l’erotismo. Un intellettuale colto e sofisticato, passato dalla “piccola patria” di Casarsa alla capitale, scopre il mondo dei letterati, dei pittori, dei musicisti, del cinema, del giornalismo, ma anche la Roma mondana della dolce vita, dei ristoranti, dei bar frequentati dagli artisti, degli incontri politici e culturali: “erano quelli i tempi di Ladri di biciclette e i letterati stavano scoprendo l’Italia”. E poi, di notte, con la guida del poeta Sandro Penna, esplora l’erotismo pagano di esperienze libere, la disponibilità di rapporti con ragazzi di vita che gli sembrano gli ultimi esemplari di un’esistenza selvaggia ma pulita, violenta ma più sana dell’ipocrisia borghese. Roma si rivela il luogo sacro dove è possibile appagare ogni desiderio dell’anima e del corpo: “Roma è divina”, scrive.
Così Pasolini vive la città appassionatamente, con l’”intenzione di lavorare e di amare, l’una cosa e l’altra disperatamente”. Il primo alloggio è una piccola stanza nel cuore del Ghetto, in piazza Costaguti, a casa di una famiglia amica dello zio, mentre la madre “si ridusse per qualche tempo a fare la serva”. Quando i due vengono raggiunti dal padre Carlo Alberto, la famiglia Pasolini abiterà dal 1951 al 1954 nella periferia povera di Ponte Mammolo, vicino al carcere di Rebibbia, in via Giovanni Tagliere 3. Nel 1954 comincia a lavorare per il cinema, entrando dalla porta principale: scrive infatti sceneggiature per registi del calibro di Federico Fellini, Mario Soldati e Mauro Bolognini. Il miglioramento della condizione economica gli permette di abbandonare Rebibbia per spostarsi con la famiglia nel quartiere Monteverde, in via Fonteiana 86, dove morirà il padre. Nel 1955 scrive il romanzo “Ragazzi di vita”, che esplode nel panorama letterario italiano provocando lo scandalo dei benpensanti e l’elogio di importanti critici, oltre a una denuncia della Presidenza del Consiglio che finirà con un processo in tribunale.
Come le “Poesie a Casarsa” composte in friulano, anche i dialoghi del romanzo sono scritti in dialetto, quello romanesco per il quale Pasolini ebbe per maestro Sergio Citti, all’epoca pittore, abitante della Maranella. L’attenzione al linguaggio, sia nei libri che nei film, va di pari passo con l’esigenza di verità, naturalezza, spontaneità, adesione alla natura che caratterizza la poetica pasoliniana. Nel 1959 pubblica il secondo romanzo, “Una vita violenta”, e trasloca in via Giacinto Carini 45, nel medesimo condominio in cui abita l’amico poeta Attilio Bertolucci con la moglie Ninetta e i figli Bernardo e Giuseppe, destinati a diventare tra i maggiori registi del nostro cinema. Nel frattempo, Pasolini percorre Roma spinto da crescente entusiasmo e da una vitalità inesauribile, non solo nei locali del centro e nei ristorantini del Ghetto: “Spesse volte, se pedinato, sarei colto in qualche pizzeria di Torpignattara, della Borgata Alessandrina, di Torre Maura o di Pietralata, mentre su un foglio di carta annoto modi idiomatici, punte espressive o vivaci, lessici gergali presi di prima mano dalle bocche dei ‘parlanti’ fatti parlare apposta”.
Ormai Pasolini frequenta personalità famose della letteratura e dello spettacolo: Alberto Moravia, Elsa Morante, Giorgio Bassani, Enzo Siciliano e Alberto Arbasino, ma anche Adriana Asti, Franca Valeri, Fellini e Bolognini. Si incontrano al Ciriola, un barcone sul Tevere sotto Castel Sant’Angelo, al Doney e al Cafè de Paris in via Veneto, nei bar Rosati e Canova a piazza del Popolo, oppure nelle tavolate dei ristoranti di via dell’Oca o di via della Penna, alla Trattoria Romana di via Frattina, da Cesaretto in via della Croce, alla Carbonara di Campo de’ Fiori, dal Bolognese in piazza del Popolo.
Nell’estate del 1960 Pasolini gira “Accattone”, il suo esordio alla regia, nella periferia degradata del Pigneto, per celebrare la sacralità spontanea dei borgatari: “Le facce, i corpi, le strade, le piazze, i mucchi di baracche, i frammenti di palazzoni, le pareti nere dei grattacieli spaccati, il fango, le siepi, i prati delle periferie sparsi di mattoni e di immondizia: ogni cosa si presentava in una luce fresca, nuova, inebriante, aveva un aspetto assoluto e paradisiaco”. Il film è la documentazione poetica di una Roma che sta scomparendo, ricoperta dal cemento della speculazione edilizia.
La consapevolezza che la piccola borghesia avrebbe preso il posto del sottoproletariato dovrebbe confortare Pasolini “nel cuore”, per il progresso sociale destinato a migliorare le condizioni di vita degli ultimi, e invece lo sgomenta “nelle buie viscere” per la perdita del valore del vitalismo primitivo: una contraddizione raccontata nel poemetto “Le ceneri di Gramsci”. Sulla tomba del grande pensatore comunista, tra le tombe di “noia patrizia” del Cimitero acattolico accanto alla Piramide Cestia, Pasolini piange la disillusione: dell’epica operaia rimane solo “qualche colpo d’incudine dalle officine del Testaccio”, nel perduto ideale della rinascita.
In via del Babuino c’è la casa di Laura Betti, attrice e cantante definita da Pasolini “mia moglie non carnale”, che lo accompagnerà per tutta la vita, così come Ninetto Davoli, un ragazzotto del Borghetto Prenestino diventato attore di primo piano dell’intera filmografia pasoliniana. Nel 1962 Anna Magnani, icona della romanità popolare, è la protagonista di “Mamma Roma”, girato a Casal Bertone, al Parco degli Acquedotti e a Trastevere. Nel 1963 Pasolini può ormai permettersi di comprare un grande appartamento e sceglie il quartiere borghese e residenziale dell’EUR per garantire alla mamma la tranquillità e un giardino che lei può curare: in via Eufrate 9 abiterà fino alla morte.
Nell’euforia generale per il boom economico, Pasolini vede al contrario i segni di un impoverimento esistenziale, del consumismo dilagante, con un senso di perdita e di smarrimento; anche Roma gli appare cambiata, decaduta, devastata. Arriva il Sessantotto, con gli scontri di Valle Giulia e Pasolini si schiera dalla parte dei poveri poliziotti contro gli studenti ricchi, figli della borghesia. Dopo i grandi incassi dei film della cosiddetta Trilogia della vita, Pasolini ha finito di girare “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. La sera del primo novembre 1975 cena con Ninetto Davoli e la moglie Patrizia al ristorante Pommidoro nel quartiere San Lorenzo. Alle 23 va alla stazione Termini e fa salire Pino Pelosi sulla sua Alfa Romeo. I due si fermano a mangiare al ristorante Biondo Tevere, sulla via Ostiense, per proseguire poi verso Ostia. La mattina del 2 novembre il cadavere di Pasolini, atrocemente massacrato, viene ritrovato in un campo dell’Idroscalo di Ostia.
Popolare, degradata e spesso violenta: dal Pigneto alla Casilina la periferia si fa poesia
La Roma di Pasolini è quella disprezzata ed evitata come la peste dalla borghesia che abita nelle villette a schiera e nei quartieri residenziali alla moda. È la Roma popolare, delle periferie degradate, carica di odori e rumori, popolata da gente incolta, semplice, povera, spesso violenta, ma sempre autentica, genuina, vera, perciò illuminata da una concreta sacralità: “da ponte Sublicio fino sul Gianicolo/ il fetore si mescola all’ebbrezza/ della vita che non è vita”.
Il puzzo si rivela attraente, la discesa agli inferi profuma di felicità perché gli infimi sono gli unici a essere vitalissimi. Così, dal paesaggio romano, si sprigionano le dolorose e fertili contraddizioni pasoliniane: le baracche di via Donna Olimpia nelle pagine di “Ragazzi di vita”, le borgate del Pigneto nelle immagini di “Accattone”, il parco della Caffarella come teatro del geniale apologo filmato con “La ricotta”, la campagna brulla di Villa Kock sulla collina di Montecucco attraversata dal surreale Totò di “Uccellacci e uccellini”, il pratone della Casilina nella rituale fellatio dell’incompiuto “Petrolio”.
Nella letteratura e nel cinema di Pasolini, Roma non è uno sfondo ma la protagonista di un’umanità capace di fondere spettacolo e cultura, sesso e politica, religione e mondanità. Una Roma cancellata dall’omologazione consumista: “Il pianto della scavatrice” lamenta la perdita causata da ogni mutamento.
Le amiche attrici e gli amici scrittori per capire la metropoli
Tra le amicizie femminili, quella con Laura Betti è sicuramente la più lunga e appassionata. Definita da Pasolini la “mia moglie non carnale”, diventa la musa devota e inseparabile che gira con lui sette film: una personalità passionale e vulcanica, estroversa e genuina, per certi versi affine a quella di Anna Magnani, icona della romanità popolare: “Nelle sue occhiaie vive e mute si addensa il senso della tragedia”. La vorrà protagonista di “Mamma Roma”, ma sul set il rapporto tra il regista abituato a lavorare con attori non professionisti e la vincitrice del Premio Oscar si rivela difficile; Pasolini la considera “un elemento stilistico esteriore che non appartiene al mio mondo, qualche cosa di spurio rispetto al mio stile”. Diversa la sensibilità artistica, ma l’amicizia e la cordialità tra i due rimarranno intatte.
È lo scrittore Giorgio Bassani a introdurre Pasolini nell’ambiente letterario romano, alle cene all’Osteria da Pallotta vicino Ponte Milvio. A casa del poeta Carlo Betocchi, in via Soana al Tuscolano, Pasolini incontra Giorgio Caproni, con il quale stringe un’amicizia profonda iniziata con “lunghissime passeggiate da Ponte Mammolo a viale Quattro Venti senza dire una parola”.
Il ricordo di Pasolini è, per Caproni, inscindibile dalle strade di Roma: “Chiacchierando a piedi attraverso Pietralata, la via Tiburtina e il Verano si arrivava a piazza di Spagna per il caffè… Ricordo le cene romane e quelle primavere odorose di pini, fuori porta, e lui timido e impacciato, cerimonioso”.
Sarà Caproni a presentargli Attilio Bertolucci, che a sua volta gli farà conoscere Sandro Penna e Alberto Moravia, “e di lì prese il via”. La frequentazione con Moravia e la moglie Elsa Morante è alimentata da stima reciproca, viaggi all’estero e sintonia culturale: il legame con lui rimarrà per tutta la vita, come testimonia l’appassionata orazione funebre tenuta da Moravia il 5 novembre 1975. Con Elsa l’amicizia si incrina quando Pasolini stronca il romanzo “La storia”.
Insieme a Bassani, che con Pasolini condivide la formazione all’università di Bologna e le lezioni di Roberto Longhi, comincia a scrivere per il cinema, lavorando per Mauro Bolognini. Fondamentale l’incontro con Federico Fellini, per il quale scrive, con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, la sceneggiatura del film vincitore del Premio Oscar nel 1958, “Le notti di Cabiria”. Una lettera di Fellini a Pasolini, datata 20 agosto 1956, invoca l’aiuto dell’amico perché gli sono venuti “dei dubbi sul finale” e ha “un gran bisogno” di averlo sul set.
Sorprendente è il sodalizio con Totò, che Pasolini giudicava “più grande come attore di Charlot e di Buster Keaton”: insieme gireranno tre film straordinari con un’intesa perfetta sul set. “Pier Paolo si rivolgeva a lui dicendo ‘Senta, Antonio’, e Totò di rimando ‘Senta, Maestro’”, ricorda Ninetto Davoli, “non sono mai riusciti a darsi il tu confidenziale”. Significativa anche la collaborazione con Ennio Morricone, autore delle colonne sonore degli ultimi sette film di Pasolini, da “Uccellacci e uccellini” a “Salò”.
Notti avventurose nei quartieri difficili tra ragazzi di vita e piaceri rischiosi
“Anche tu sei stato”, scrive Pasolini nel febbraio 1970 a Sandro Penna, “un po’ predone di quella realtà che forse dovrebbe essere unicamente contemplata. Ma è proprio da questi tuoi momenti di peccato – in cui sei venuto meno alla regola della rinuncia e della umile, silenziosa, monastica protesta contro il mondo, così sublime e così inaccogliente – che tu hai trovato le ispirazioni per la tua poesia”.
Le parole rivolte a quello che considera “il più grande e il più lieto poeta italiano vivente” sembrano una riflessione autobiografica sul vissuto notturno di Pasolini. È Penna a fargli scoprire gli amori sulla riva del Tevere. “Elsa Morante quasi ogni sera”, ricorda Alberto Arbasino, “vedendo che Pier Paolo diventava un po’ nervoso, diceva: ‘Vai, vai, perché se no non ti aspettano’. ‘Non ti aspettano’ era riferito ai ragazzini”.
Dopo cena, Pasolini sale in macchina e sparisce nei quartieri più pericolosi in cerca di corpi da amare. Notti misteriose alimentate dal piacere del rischio e dai multipli appuntamenti erotici “che, a quanto raccontava lui, erano brevi e intensi”, afferma l’amica Dacia Maraini, “Ma, se ho capito bene dal suo parlare per metafore, non finivano quasi mai con un vero e proprio atto sessuale completo, piuttosto erano carezze, masturbazioni reciproche e baci rubati”.
Quando vedeva Ninetto Davoli salire sull’auto di Pasolini, il cugino Nico Naldini pensava che “si portava dietro l’ultimo mondo borgataro del Prenestino”.
Pasolini pop: il mito nella street art
La strada è il palcoscenico preferito dalla poetica pasoliniana: “Fai pochi passi, e sei sull’Appia o sulla Tuscolana: lì tutto è vita, per tutti”.
Gran parte delle sue poesie, tutti i romanzi e molti film, come “Accattone”, “Mamma Roma” e “Uccellacci e uccellini”, hanno un andamento picaresco, con i personaggi in cammino per le strade della periferia romana, definita da Pasolini “la corona di spine che cinge la città di Dio”, tra selciati polverosi e muri scrostati. Giusto, dunque, che la Street Art lo abbia omaggiato e celebrato, diffondendo la sua immagine nei murales dei quartieri a lui più cari, come il Pigneto e Torpignattara.
Se “Accattone” è una parabola cristologica, oggi in via Fanfulla da Lodi, dove il film è ambientato, un grande murale firmato Mr. Kleva ritrae il volto della giovanissima Madonna del film “Il Vangelo secondo Matteo”, mentre di fronte l’enorme occhio di Pasolini nel murale di Maupal sembra ancora inquadrare i corpi e le anime del Pigneto.
Nella medesima via, su un muretto basso, Omino 71 ha dipinto un Pasolini pop versione Marvel: travestito da supereroe, ha il volto coperto da una maschera azzurra con la scritta “Io so i nomi”.
Al quartiere Prenestino, cantato nella poesia “L’alba meridionale”, in via Galeazzo Alessi, Nicola Verlato ha realizzato “Hostia”, murale capace di sintetizzare la vita e l’arte di Pasolini con fulminante potenza visionaria.
DA REBIBBIA A OSTIA: LE 10 TAPPE FONDAMENTALI
1. Rebibbia, la casa in via Tagliere
“Abitammo in una casa senza tetto e senza intonaco, una casa di poveri, all’estrema periferia, vicino a un carcere. C’era un palmo di polvere d’estate, e la palude d’inverno. Ma era l’Italia, l’Italia nuda e formicolante, coi suoi ragazzi, le sue donne, i suoi ‘odori di gelsomini e povere minestre’, i tramonti sui campi dell’Aniene, i mucchi di spazzature: e, quanto a me, i miei sogni integri di poesia”.
Così Pier Paolo Pasolini, in “Poeta delle ceneri” (1967), racconta la casa a Ponte Mammolo vicino a Rebibbia, in via Giovanni Tagliere 3, nella quale vive con i genitori dal 1951 al 1954. Da lì ogni giorno viaggia tre ore in autobus per raggiungere la scuola privata di Ciampino dove insegna.
2. San Lorenzo, la cena al Pommidoro
La sera del primo novembre 1975, Pasolini cena con Ninetto Davoli al ristorante Pommidoro in piazza dei Sanniti 46. “I ragazzi sono cambiati, la gente non è più come prima”, dice. “Sono così tristi che non ho il coraggio di guardarli in faccia”.
Poi paga con assegno di 11 mila lire. L’oste Aldo Bravi, scomparso nel 2021, lo appende all’ingresso sopra la cassa, scrivendo: “Assegno firmato da Pier Paolo Pasolini e rilasciato al gestore di questa osteria di cui era cliente abituale per pagare l’ultima sua cena consumata insieme a Ninetto Davoli con il quale si è intrattenuto in questo locale fino al momento di recarsi alla stazione per incontrarvi il suo assassino, il Pelosi, la sera in cui fu ucciso”.
3. Pigneto, il set di Accattone
“Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma”.
Così Pasolini ricorda il set del suo esordio nella regia, “Accattone”, nell’estate 1960: al bar Necci del civico 68 si svolgono le riunioni del regista con il cast: “Sembravamo operai in mezzo agli altri operai che lavoravano nelle piccole officine del Pigneto”. Il protagonista abita nella parallela, via Ettore Giovenale, al civico 101.
4. Ghetto, piazza delle Tartarughe
All’arrivo a Roma, il 28 gennaio 1950, Pasolini va a vivere, con la madre, in una stanza di una casa in piazza Costaguti 14, dove abita una famiglia amica dello zio. È l’occasione per cominciare a esplorare il ghetto, carico di storia e tradizione. Affascinato dalla Fontana delle tartarughe di piazza Mattei, scriverà: “In piazza delle Tartarughe i quattro giovinetti che reggono le conchiglie, lucidi, sono l’unica cosa che sfugge alla presa del vento: penetrano la notte con la loro nudità.
I ragazzi deposti dalla domenica come una schiuma per le strade nuove, non si avvicinano di un millimetro alla compattezza sacra, pura e seducente di quel nudo. Non si possono più amare che le statue”.
5. Trastevere, Mamma Roma
In piazza dei Mercanti 30 c’è il ristorante Meo Patacca, dove Pier Paolo Pasolini girò nel 1962 “Mamma Roma”, con il protagonista Ettore Garofalo che lavora come cameriere nella storica trattoria trasteverina.
Ma Trastevere è presente nell’immaginario di Pasolini fin dal suo primo romanzo “Ragazzi di vita”, nel quale racconta le discese del Riccetto verso via Garibaldi e via Manara, per dirigersi insieme agli amici di vicolo del Cinque e vicolo del Bologna verso la spiaggia del Tevere nei pressi di ponte Sisto, dove si svolge il primo capitolo del libro. Nella vicina via della Pelliccia 45, un busto di bronzo ritrae Anna Magnani, protagonista del film, accompagnato dalla scritta “A Mamma Roma”.
6. Testaccio, Le ceneri di Gramsci
Pasolini è a Roma da un anno quando sulla rivista “La fiera letteraria” del 7 ottobre 1951 esce il sorprendente “Testaccio: note per un racconto”. Ma il Testaccio sarà anche protagonista del celebre finale di “Accattone” (1961), con la fuga in motocicletta del protagonista Franco Citti che parte da via Giovanni Battista Bodoni, attraversa via Aldo Manuzio e via Beniamino Franklin per concludersi tragicamente sul ponte Testaccio.
Il quartiere rappresenta, nell’immaginario poetico di Pasolini, uno degli ultimi avamposti di un’umanità autentica, popolare, vitale, che il poeta sente echeggiare dal Cimitero acattolico, sulla tomba di Antonio Gramsci, nei versi del poemetto “Le ceneri di Gramsci”.
7. Monteverde, con i Bertolucci
Nel 1954 Pasolini si trasferisce nel quartiere Monteverde in via Fonteiana 86, per la gioia del padre Carlo Alberto di “occuparsi di un trasloco che gli dava soddisfazione, che vellicava in lui il piacere del comando, della vanità, del decoro borghese”. In quella casa l’anziano militare muore il 19 dicembre 1958. A Bernardo Bertolucci, che va a fargli le condoglianze dichiarandosi triste per la morte di Carlo Alberto, Pasolini, al capezzale del defunto, risponde: “Io no. Mio padre era un sottufficiale fascista”.
Nel 1959 Pier Paolo e la madre si spostano nella vicina via Giacinto Carini, al civico 45, dove abita anche Bertolucci, con il padre Attilio, la madre Ninetta e il fratello Giuseppe.
8. Eur, l’ultima residenza
“Ricerco la casa della mia sepoltura”, scrive Pasolini il 25 gennaio 1962 nella poesia “La ricerca di una casa”. L’esplorazione non promette bene: “Mi era sembrata sempre allegra questa zona dell’Eur, che ora è orrore e basta. Mi pareva abbastanza popolare, buona per deambularci ignoto, e vasta tanto da parere città del futuro”.
All’inizio del 1963 sceglie la casa con giardino di via Eufrate 9, nella quale vivrà fino alla morte con la madre Susanna Colussi e la cugina Graziella Chiarcossi. Così la mamma potrà coltivare piante e frutta, come faceva a Casarsa. Vi si recherà il pomeriggio del primo novembre 1975 il giornalista Furio Colombo per quella che rimarrà l’ultima intervista a Pasolini.
9. Ostiense, Al Biondo Tevere
La sera del primo novembre 1975, dopo le 23, Pier Paolo Pasolini entra nel ristorante Al Biondo Tevere di via Ostiense 178 insieme a Pino Pelosi. L’oste Vincenzo sta chiudendo ma accoglie comunque volentieri quel cliente illustre e abituale, che ha un conto aperto nel locale. Pier Paolo ha già mangiato al Pommidoro di San Lorenzo con Ninetto Davoli, così prende solo una birra, mentre Pino Pelosi ordina un petto di pollo.
Quando il ragazzo si trova nel piatto il pollo, servito con tanto di pelle e ala, comincia a protestare, ma Pasolini lo convince che così è più saporito. Il giovane mangia e l’oste Vincenzo accompagna i due fuori dal cancello, fino all’Alfa Romeo che parte in direzione di Ostia.
10. Ostia, morte all’Idroscalo
Nella notte tra il primo e il due novembre 1975, all’Idroscalo del Lido di Ostia, molti tra quelli che stanno dormendo dentro le baracche occupate abusivamente sentono un urlo, qualcuno che grida “Mamma!”.
Ascolta “Ostia, morte all’Idroscalo” su Spreaker.
La mattina, alle sei e trenta, la signora Maria Teresa Lollobrigida vede qualcosa a terra che sembra un mucchio di rifiuti lasciati vicino alla sua baracca. Si avvicina brontolando e capisce che non si tratta di monnezza, ma del corpo di un uomo. Anzi di ciò che resta di quel cadavere, lacerato e coperto di sangue, sfondato e schiacciato. È il corpo di Pier Paolo Pasolini. Sarà l’amico e attore Ninetto Davoli a riconoscerlo, qualche ora dopo. Il movente e la dinamica del delitto rimangono ancora un mistero.
A PERGOLA LA MOSTRA “GOLPE. IO SO. DEDICATO A PIER PAOLO PASOLINI”
“Golpe. Io so. Dedicato a Pier Paolo Pasolini”, esposizione a cura di Massimo Mattioli è una mostra tra le mostre. Quattro artisti – Elena Bellantoni, Davive Dormino, Rocco Dubbini, Giovanni Gaggia – ciascuno a suo modo debitore della lirica indipendente, variopinta e liberatoria di Pasolini, tracciano l’identità e il lascito dell’intellettuale-icona attraverso punti di vista e linguaggi espressivi differenti. Un mandala tra aria, maternità e rapporto filiale ruota su una terra già odorosa di morte e di senso mentre le “sedie del biondo Tevere” si confrontano, testimoni delle ultime voci di Pasolini. Un paio di occhiali (che sanno vedere) diventano, invece, i mezzi di trasporto non convenzionali per un viaggio onirico –lirico nella mente e nella poetica di uno dei più grandi intellettuali del ‘900 che non c’è più eppure – ostinatamente- resta. La mostra ha fatto parte del programma culturale del Museo dei Bronzi Dorati a Pergola, dove è stata esposta fino al 5 marzo 2023.
(Foto di Eugenio Bucci, cliccare sulle foto per leggere i nomi delle opere)
PASOLINI IN 5 BREVI TESTI
1. Il mio desiderio di ricchezza, da “La religione del mio tempo” 1961
“Solo fino all’osso, anch’io ho dei sogni
che mi tengono ancorato al mondo,
su cui passo quasi fossi solo occhio…
Io sogno la mia casa, sul Gianicolo,
verso Villa Pamphili, verde fino al mare:
un attico, pieno del sole antico
e sempre crudelmente nuovo di Roma”
2. 10 giugno 1962, da “Poesia in forma di rosa” 1964
“Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui assisto per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.”
3. Supplica a mia madre, da “Poesia in forma di rosa” 1964
“È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
Di una vita rinata fuori dalla ragione.”
4. Serata romana, da “La religione del mio tempo” 1961
“Dove vai per le strade di Roma,
sui filobus o i tram in cui la gente
ritorna? In fretta, ossesso, come
ti aspettasse il lavoro paziente
da cui a quest’ora gli altri rincasano?
È il primo dopocena, quando il vento
sa di calde miserie familiari
perse nelle mille cucine, nelle
lunghe strade illuminate,
su cui più chiare spiano le stelle.
Nel quartiere borghese, c’è la pace
di cui ognuno dentro si contenta,
anche vilmente, e di cui vorrebbe
piena ogni sera della sua esistenza.
Ah, essere diverso – in un mondo che pure
è in colpa – significa non essere innocente…
Va, scendi lungo le svolte oscure
del viale che porta a Trastevere:
ecco, ferma e sconvolta, come
dissepolta da un fango di altri evi –
a farsi godere da chi può strappare
un giorno ancora alla morte e al dolore –
hai ai tuoi piedi tutta Roma…
Scendo, attraverso ponte Garibaldi,
seguo la spalletta con le nocche
contro l’orlo rosicchiato della pietra,
dura nel tepore che la notte
teneramente fiata, sulla volta
dei caldi platani. Lastre d’una smorta
sequenza, sull’altra sponda, empiono
il cielo dilavato, plumbei, piatti,
gli attici dei caseggiati giallastri.”
5. Da “Ragazzi di vita”, 1955
“Il Riccetto cercava di acchiappare la rondine, che gli scappava sbattendo le ali e tutti due ormai erano trascinati verso il pilone dalla corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli. “A Riccetto”, gridarono i compagni dalla barca, “e lassala perde!” Ma in quel momento il Riccetto s’era deciso ad acchiapparla e nuotava con una mano verso la riva. “Tornamo indietro, daje”, disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto sull’erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. “E che l’hai sarvata a ffà”, gli disse Marcello, “era così bello vedella che se moriva!” Il Riccetto non gli rispose subito. “È tutta fracica”, disse dopo un po’, “aspettamo che s’asciughi!” Ci volle poco perché s’asciugasse: dopo cinque minuti era là che rivolava tra le compagne, sopra il Tevere, e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre.”
Nella stessa collana: MapMagazine – Percorso Magnani. La Roma di Anna in 10 tappe
PASOLINI NEI LIBRI DI TYPIMEDIA EDITORE
Ecco, di seguito i volumi di Typimedia Editore in cui è possibile trovare tracce di Pier Paolo Pasolini e del suo rapporto con Roma.
COME ERAVAMO. TRIESTE-SALARIO 1860-1950
COME ERAVAMO. MONTEVERDE 1849-1950
COME ERAVAMO. MONTESACRO 1852-1950
COME ERAVAMO. NOMENTANO 1865-1960