BKD7DG Magnani, Anna, 7.3.1908 – 26.9.1973, Italian actress, portrait, circa 1950s, ,. Image shot 1945. Exact date unknown.
A cura di Fabio Canessa
Podcast a cura di Alessandra Accardo
Progetto grafico di Stefano Cipolla
Cinquant’anni senza Anna Magnani
LA ROMA MITICA E INSOSTITUIBILE DI NANNARELLA, ANTIDIVA DA OSCAR
Cinquant’anni fa, il 26 settembre 1973, nella clinica romana Mater Dei moriva Anna Magnani. La prima attrice italiana di fama mondiale, vincitrice del Premio Oscar nel 1956, viaggiava poco e malvolentieri, innamorata di Roma, dalla quale non avrebbe mai voluto allontanarsi e della quale è stata ed è icona insostituibile. Antidiva locale, definita da Jean Renoir “la quintessenza dell’Italia”, diventerà diva del cinema internazionale.
Nata da una ragazza madre, dalla quale prende il cognome (pare che il padre, mai conosciuto, fosse un Del Duce calabrese), che la lascerà trasferendosi in Egitto. Anna cresce con la nonna, trascurando la scuola per studiare recitazione (svogliata alle lezioni, strepitosa nelle esercitazioni pratiche). Sarà la morte della nonna a fondere donna e attrice: “Da quel momento ebbi il coraggio di ribellarmi, di fare uscire da me stessa quello che prima era sempre rimasto nascosto, di gridare quando ne sentivo il bisogno, di tacere quando ne avevo voglia. Sì, quel giorno era nata la Magnani”.
Era nata anche la ricetta della sua arte: mai scindere la vita dalla recitazione. “Io non recito. Recito male se provo a recitare. Vivo quello che faccio o credo di viverlo che è lo stesso”. Il segreto è l’autenticità: “Non ho fatto mai il minimo sforzo per sembrare un’altra. Le bestie vivono secondo natura e non sbagliano quasi mai”. Ogni personaggio è un lato della sua personalità, emerso da un’infanzia e un’adolescenza dolorose. La romanità la fa diventare universale, la fragilità la fa sembrare forte, dalla cupezza si sprigiona la sua fragorosa risata.
La vocazione artistica deriva dal deficit del vissuto: “Ho scelto questo mestiere perché avevo voglia di essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo sempre mendicato. Ecco, ci risiamo, è il solito dannato complesso materno. Ho anche capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla tra una lacrima di troppo e una carezza di meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per quella lacrima, ho implorato quella carezza”. La sua “presenza fatta di impetuosa vitalità esistenziale” secondo Alberto Moravia scaturisce dall’“aver abolito il confine tra la vita e l’arte, tra la persona e il personaggio, tra la passione e l’espressione”. Per questo le sue “spontanee creazioni” nella rivista e nei primi film, diceva Roberto Rossellini, anticipano e fanno nascere il neorealismo: “Voglio personaggi nei quali poter credere, a cui il pubblico possa credere. Personaggi ben costruiti, senza squilibri di artifici e fasullaggini. Veri. Veri vuol dire personaggi presi dalla vita”.
Marcello Gatti ne lascia un ritratto formidabile, confessando che i chiaroscuri del temperamento di Nannarella hanno influenzato il suo lavoro di direttore della fotografia: “C’era in lei qualcosa di magico che per anni mi ha seguito, era attraente come un’aurora boreale, ma poteva diventare di colpo canzonatoria, spiritosa e poi triste. Vederla recitare, quel modo di prendere e dare luce sul set, mi ha regalato la misura per l’illuminazione che avrei elaborato negli anni. Confondere le scene con la realtà era il suo stile, sembrava che porgesse le battute come per caso e la luce che indicava era solo una, quella che lei voleva”. Pier Paolo Pasolini la omaggia in una poesia da La religione del mio tempo, Adriano Celentano le dedica una canzone. Entrambi convinti che la migliore attrice di tutti i tempi è quella che recita quando vive e vive quando recita.
GUARDA: Come acquistare MapMagazine – Percorso Magnani
Nella stessa collana: MapMagazine – Percorso Pasolini (scopri qui la versione online)
NELLA CITTÀ ETERNA OGNI QUARTIERE È UN PALCOSCENICO
Nata sulla Salaria il 7 marzo 1908, Anna Magnani muore il 26 settembre 1973 nella clinica Mater Dei, in via Antonio Bertoloni 34, nel quartiere Pinciano. La sua personalità viene identificata con Roma, la vita e la sua opera attraversano tutte le strade e le piazze della Capitale.
A cominciare dalla suggestiva via Margutta, nella quale ha vissuto con il marito Goffredo Alessandrini, per poi trasferirsi in viale Parioli 48 e, dopo la separazione, in via dell’Amba Aradam. Intanto i personaggi dei suoi film spaziano da un quartiere popolare all’altro, da Trastevere al Pigneto, dove, nel palazzone di via Alberto da Giussano 4, abita la protagonista di Bellissima (1951) di Luchino Visconti. Il quale, avendo intuito per primo che la cifra artistica della Magnani è quella di recitare sempre, “sulla scena e fuori dalla scena, sul palcoscenico e nella vita”, senza differenza tra pubblico e privato, la dirige in Siamo donne (1953) nel ruolo di se stessa mentre litiga con un tassista a Villa Borghese, in viale Pietro Canonica, e sulla piazza del Quirinale. Se Anna Magnani interpreta sempre se stessa, perché perdere tempo a crearle un personaggio? E quando la sua Roma diventerà caotica e nevrotica, in Made in Italy (1965) di Nanni Loy interpreta la stremata Adelina che, con marito, suocera e tre figli, tenta disperatamente di attraversare a piedi piazza Pio XI congestionata dal traffico. La biografa Matilde Hochkofler scrive che a rendere l’ultimo omaggio ad Anna si ritrova al suo funerale nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva una folla enorme proveniente “da tutti i quartieri di Roma, da Trastevere, dal Testaccio, dal Salario, dalla Tiburtina, dall’Appio, dal Prenestino, da Centocelle, dai Parioli, dal centro storico, bloccando l’intera città”, con la gente che si arrampica sull’obelisco di piazza della Minerva e “riempie le strade che arrivano al Pantheon”.
Sepolta al cimitero del Verano, la salma sarà traslata nel 1988 in una cappella del cimitero di San Felice Circeo. Dove nel 1948, dopo i sopralluoghi nella zona con Roberto Rossellini per il film Amore, aveva comprato una grande villa che era stata il rifugio prediletto, il buen retiro dagli affanni di un’esistenza inquieta, “la mia vera casa: un paradiso terrestre, con gli ulivi che scendono fino al mare”.
C’è infine una Roma notturna, nella quale Anna Magnani si dedicava ai gatti randagi, portando gli avanzi della cena agli amati mici di Largo Torre Argentina, Villa Borghese e del Galoppatoio.
Da Visconti a Fellini, i registi alle prese con un talento unico
L’ATTRICE INDOMABILE CHE SUL SET VOLEVA “PRENDERE FUOCO”
Giuseppe Ungaretti e Woody Allen l’hanno definita “la più grande attrice del mondo”, eppure Anna Magnani non si considerava un’attrice e i registi con cui ha lavorato (e, con tutti, litigato) confessano di non essere stati capaci di dirigerla. Secondo Mario Camerini “Anna Magnani faceva sempre Anna Magnani” e Mario Monicelli concorda: “Aveva un’eccezionale personalità, ma come donna, non come attrice. Come attrice sapeva fare soltanto se stessa, la Magnani. Appena uno le diceva di fare una cosa un po’ diversa non sapeva proprio farla”. Luchino Visconti la considera “qualcosa di strano da dirigere. Non sa nemmeno quello che fa. Si lascia andare e dopo questo scatenamento di forze misteriose, non riesce a ricordarsi di nulla”. Sembrano giudizi riduttivi e invece rivelano il nocciolo di un talento insofferente dei doveri della professionalità ed esaltato da un transfert febbricitante. “Io non mi considero un’attrice. Se piglio fuoco brucio bene, se no non c’è niente da fare”, ammette lei stessa, “se uno mi dice: sei una vera professionista, mi considero insultata. Fare l’attrice per mestiere è un’idea che non concepisco, che avvilimento, che squallore”. Il suo metodo non ha niente di scolastico, è frutto della passione, non dell’applicazione: “Su un personaggio giusto mi eccito, mi appassiono. Lo scopro poco a poco, lo creo nel mio cervello prima che davanti alla macchina da presa, me ne impadronisco”. Anna deve sentirsi implicata e seguire l’istinto anziché le indicazioni del regista, fosse pure Pier Paolo Pasolini. Al quale obietta: “Io ho capito benissimo che tu funzioni con gli attori che prendi e plasmi come una materia grezza. Essi, pur con la loro intelligenza istintiva, sono dei robot nelle tue mani. Ora, io non sono un robot”. “Per molto tempo Anna mi dava soggezione”, ammette Federico Fellini, ma poi “conoscendola ti accorgevi che era proprio il timore di una bambina spaventata, il timore di una ragazzetta così un po’ selvatica che reagiva a certi complessi o a certe paure con questa compensazione in eccesso di arroganza, strafottenza, diffidenza”.
La paragona a un bambino volubile anche Daniel Mann, il regista che le avrebbe fatto vincere l’Oscar con La rosa tatuata (1955): “È come un bambino, con la stessa capacità di amare adesso e di odiare tra dieci minuti. Si alza di umore pessimo, non vuol vedere nessuno, non si preoccupa di vestirsi, di truccarsi. La lasciate così con un diavolo per capello e la faccia scura come la notte. Passa un’ora e vi trovate accanto una donna sofisticata che parla di letteratura, vuole far colazione in un luogo elegante, è persino riuscita a pettinarsi con grazia”.
Il debutto al Quattro Fontane nel 1940
LA RIVISTA E IL TEATRO: I SUOI GRANDI AMORI
“Nel cinema mi pare di non essere stata altro che un impiegato diligente”, diceva Anna Magnani, “una scena si rifà: una, dieci, cinquanta volte se occorre. Se sbagli una battuta puoi ripeterla. Se hai la febbre non sei costretta a girare. Ma in teatro sei esposta, sempre, senza dilazioni, senza scappatoie. Sai che il pubblico è là sotto di te pronto a dilaniarti. In teatro o la va o la spacca. Be’, penso di essere soprattutto un’attrice di teatro”. E i testimoni confermano che chi non l’ha vista recitare a teatro non ha visto la vera Anna Magnani: non solo quella nobile, al Quirino, di La Lupa (1965) di Franco Zeffirelli e Medea (1966) di Giancarlo Menotti, ma anche quella degli anni della rivista, dei primi anni dell’avanspettacolo, quando debuttò al Quattro Fontane nel 1940 con “Quando meno te lo aspetti” in coppia con Totò, insieme al quale bissò il successo nel 1942 al Valle con Volumineide e lo triplicò nel 1944, sempre al Valle, con Che ti sei messo in testa?.
La mancanza di registrazioni video riduce quella stagione del varietà e i suoi sketch a una serie di titoli gloriosi, firmati perlopiù dalla premiata ditta Garinei e Giovannini: Con un palmo di naso (1944), Cantachiaro (1945), Soffia so’ (1945), Sono le dieci e tutto va bene (1946). Nella mescolanza di arte e vita prodotta dalla performance teatrale, l’arte di Anna Magnani tocca il vertice della sua forza espressiva: “Niente è più vero che essere veri e bisogna eliminare la barriera tra il pubblico e l’attore. Il pubblico! Bisogna farlo salire sul palcoscenico, strapparlo dalla sua poltrona, renderlo partecipe da vicino, il più vicino possibile”.
Giudizi e ricordi
E WOODY ALLEN DISSE: LA PIÙ GRANDE DI TUTTE
«Lei ha, insieme alle sue altre qualità, anche quella di essere lei stessa un personaggio talmente vero e talmente umano, talmente immediato che qualunque cosa raccontasse di sé, questa cosa avrebbe come per incanto il timbro giusto per diventare spettacolo nel senso migliore della parola». Cesare Zavattini
«Quando c’è lei è come se in scena non ci fosse nessun altro. Ha la forza di calamitare immediatamente su di sé l’attenzione del pubblico». Enrico Maria Salerno
«Anna ostentava questa voglia di divertirsi e di esplodere in queste lunghe risate che le servivano per creare determinati personaggi, ma nel privato aveva delle reazioni che non ti mettevano a tuo agio, era sempre un po’ cupa, nel rapporto umano». Alberto Sordi
«Era davvero la più grande attrice del mondo». Woody Allen
«Non mi è capitato spesso di sentirmi toccato nell’intimo dagli attori cinematografici e tra questi è certamente la Magnani quella che più ti affonda gli artigli nel cuore». Tennessee Williams
«Mia madre era molto agguerrita perché si era costruita la carriera grazie a questo modo di affrontare il lavoro. Si è creata da sola. Non poteva essere la vita della donna che ha marito e figli, ma di una persona dedicata al lavoro. In una società maschilista dove tutti tentavano di metterle i piedi in testa non poteva che comportarsi così». Luca Magnani
«Una creatura timida, irresoluta e umbratile, che qualche volta cerca di far paura agli altri per far coraggio a se stessa». Indro Montanelli
«L’attrice più grande di tutti i tempi». Giuseppe Ungaretti.
Le sue frasi
“A NEW YORK VEDEVO I TETTI DI ROMA”
“La sera, sola nel mio appartamento al quattordicesimo piano, dietro ai vetri della mia finestra, finalmente mi gustavo New York. Tutti quei grattacieli neri con tutte quelle finestre accese […]. Piano piano, man mano che il sonno arrivava, tutti quegli occhi si spegnevano dolcemente e, come per una dissolvenza cinematografica, vedevo i tetti di Roma come la sera li vedo da casa mia. Un mare di tetti, alti e bassi, abbracciati tra loro, stretti fra loro, e, in mezzo a questo mare, ecco sedute come tante matrone le cupole della Sapienza, di Sant’Andrea della Valle, Castel Sant’Angelo e, più lontano ancora, il Gianicolo. E con Roma negli occhi mi addormentavo”. (Intervista ad Anna Magnani, La mia avventura americana, «Tempo» 1953)
“L’inquietudine bolle a fuoco lento dentro di me, come una pentola d’acqua sul fornello acceso. Sono piena di violenza. Se non fosse per Roma, non so come riuscirei a sopravvivere. Roma non mi resiste quando sono arrabbiata e tormentata. Non esaspera i miei stati d’animo. Mi tranquillizza, è bella e tollerante. Non tenta mai di farmi diventare qualcosa che non posso essere”. (Anna Magnani: biografia di una donna, Matteo Persica, Bologna, Odoya 2016)
“Passando per Villa Borghese, dove c’è il raduno di tutte le prostitute un po’ più decenti, mi hanno dato urlando il benvenuto: ‘Ciao Anna, bentornata.’ Mi hanno salutato come se appartenessi alla loro nobile famiglia. E tutti a Roma mi chiamano forte, mi salutano”. (Anna Magnani La biografia, Matilde Hochkofler con la collaborazione di Luca Magnani, Milano, Bompiani 2013).
PERCORSO ANNA MAGNANI: LE TAPPE
1. Salario, dove tutto ebbe inizio
In via Salaria 126 si trova l’Asilo Materno con il compito di “ricoverare, mantenere, curare e assistere le madri nubili, minorenni o giovani, al fine di riabilitarle e restituirle al lavoro e alla famiglia”. Qui il 7 marzo 1908 alle ore 13:30, la ventenne Marina Magnani dà alla luce la figlia Anna. La ragazza madre, nata a Ravenna, abita a Roma da tre anni, dopo il trasferimento del padre usciere al Palazzo di Giustizia della Capitale. Pochi mesi più tardi partirà per Alessandria d’Egitto, dove avrà un’altra figlia, Mina, da un ricco austriaco.
2. Campitelli, gli anni della giovinezza
Anna cresce in via di San Teodoro con la nonna Giovanna e gli zii Maria, Rina, Dora e Romano: “Spesso, quando sono a Roma, passo sotto le finestre e la guardo. Ho voglia di salire quattro piani, di bussare alla porta e dire ‘Buongiorno, sono vissuta qui, posso entrare?’ Avrei una voglia matta di comprarla, lo farò. Sarà come entrare nuovamente nel grembo di mia madre. Una così bella casa sul Campidoglio con vista sul Palatino. Sì, sarà come ricominciare a vivere. La mia stanza era là, alla seconda finestra a destra, che bella la mia cameretta”.
3. Pigna, la casa della vita
Nel 1950, mentre Roberto Rossellini gira Stromboli – Terra di Dio con Ingrid Bergman, David O. Selznick decide di fargli concorrenza producendo Vulcano e scritturando come protagonista Anna Magnani per sfruttare la rivalità sentimentale delle due attrici come promozione commerciale. Con i sessanta milioni guadagnati con questo film, Anna compra l’appartamento a Palazzo Altieri, con ingresso in piazza del Gesù 45 e in via degli Astalli 19. Il panorama spazia sui tetti di Roma fino alla cupola di San Pietro. Abiterà lì per tutto il resto della sua vita.
4. Campitelli, l’ultimo ciak
Mentre rientra a casa, Anna Magnani viene fermata da Federico Fellini, che la elogia come il simbolo della città, “una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca”. La reazione di lei lo conferma: “A Federì, ma vai a dormì, va’”. E alla richiesta di farle una domanda, risponde: “No, nun me fido, ciao. Buonanotte!”, chiudendogli in faccia il portone di casa. Che non è, però, quello di Palazzo Altieri, ma di piazza Lovatelli 1. L’apparizione nel finale del film Roma (1972) è anche l’ultima di Anna Magnani.
5. Parione, con Monicelli
La notte di Capodanno Anna Magnani percorre corso Vittorio Emanuele insieme a Totò e Ben Gazzara. Prima sono ospitati da ricchi tedeschi nella palazzina al civico 168, poi finiscono nella Basilica di Sant’Andrea della Valle, dove l’ingenua protagonista, invaghita del giovane Lello (Gazzara), pensa che sia entrato per pregare e pentirsi delle sue truffe, mentre invece ha rubato la collana della statua della Madonna, furto di cui sarà accusata lei. È la sequenza cruciale della commedia agrodolce Risate di gioia (1960) di Mario Monicelli.
6. Campo Marzio, la popolana verace
Nel film Campo de’ Fiori (1943) di Mario Bonnard, Elide ha un banco di frutta nella piazza del mercato: è il primo personaggio da popolana brusca e litigiosa, genuina e umanissima, che sarà il prototipo di una lunga serie che Anna Magnani interpreterà nella sua carriera. È anche il primo film in cui fa coppia con Aldo Fabrizi, qui nel ruolo del pescivendolo innamorato e anche sceneggiatore insieme a Federico Fellini: una commedia di bonario realismo girata nel cuore di Roma dai due attori più rappresentativi della romanità verace.
7. Trastevere, ritorno alla miseria
Nel cuore di Trastevere, al civico 56 di piazza della Scala, c’è il negozio della fruttivendola Gioconda, che però, arricchitasi con la borsa nera, finirà nei guai per l’incapacità di gestire il denaro. In Abbasso la ricchezza (1946) di Gennaro Righelli ecco un altro personaggio che permette ad Anna Magnani di dare il meglio di sé mescolando ingenuità e iattanza, fragilità e prepotenza, in un film che affronta con leggerezza i problemi brucianti del dopoguerra. Da antologia la sequenza in cui Nannarella canta Quanto sei bella Roma.
8. Trastevere, la ribelle
L’ingresso per le detenute delle Mantellate nel carcere di Regina Coeli era su via di San Francesco di Sales 35. Le donne impetuose e ribelli interpretate da Anna Magnani entrano o escono più volte da quel portone: succede a L’onorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa e alla Egle di Nella città l’inferno (1959) di Renato Castellani. Angelina ha capitanato un’occupazione abusiva, Egle è una veterana della prigione. Nel primo film debutta come attore Franco Zeffirelli, nel secondo recitano Giulietta Masina, Alberto Sordi e Renato Salvatori.
9. Casal Bertone, la casa di Mamma Roma
Il Palazzo dei Ferrovieri di piazza Tommaso De Cristoforis è un esempio significativo dell’architettura popolare degli anni Trenta, pensato appunto per gli alloggi di chi lavorava nelle ferrovie. Proprio qui abita Mamma Roma (1962), protagonista del film omonimo di Pier Paolo Pasolini, la prostituta che vuole cambiare mestiere per garantire al figlio un futuro felice. Da allora in poi Anna Magnani verrà identificata con quel nome, come dimostra il busto di bronzo che la ritrae in via della Pelliccia 45, con la dedica “A Mamma Roma”.
10. Pigneto, la corsa di Pina
Una delle sequenze più celebri della storia del cinema è girata in via Raimondo Montecuccoli: quella di Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, in cui Anna Magnani corre dietro la camionetta che porta via il marito e viene falciata dai mitra nazisti.
Nel film, vero manifesto del Neorealismo, si chiama Pina e abita al civico 17. Tra i caseggiati devastati dalle bombe, i muri scrostati di via Montecuccoli (il forno assaltato al civico 8) e le strade polverose, l’impasto tra cinema e realtà raggiunge il vertice dell’arte cinematografica.
IN QUESTI LIBRI RIVIVE IL SUO MITO
LA STORIA DEL PIGNETO (a cura di Gaia Marnetto)
LA STORIA DI ROMA-CAMPO MARZIO (a cura di Giancarlo Di Giovine)
LA STORIA DEL TUSCOLANO (a cura di Sara Fabrizi)
LA STORIA DEL PRENESTINO (a cura di Sara Fabrizi)
COME ERAVAMO. TRASTEVERE 1865-1960 (a cura di Gianluigi Spinaci)
NANNARELLA (di Giancarlo Governi)
ANNA MAGNANI (di Rachele Morris e Marcella Onzo)
ANNA MAGNANI (di Luca Magnani e Matilde Hochkofler)