Sono appena scese dal tramvai in fondo a viale Regina Elena, le tre donne in primo piano nella foto. Sono vestite di nero, a lutto come si usava in quegli anni. Portano in braccio mazzi di fiori appena acquistati dalla fioraia che si è staccata dalla bancarella e si è addentrata nel piazzale, avvicinandosi alla fermata dei mezzi pubblici per offrire la propria merce e battere la concorrenza.
Il tram ha sulla sommità l’insegna “Esterna destra”. Altri issavano invece il cartello: “Esterna sinistra”. Erano le due grandi reti tangenziali, chiamate anche Circolare nera e Circolare rossa, che univano i quartieri della città più distanti dal centro della città, a seguito della rivoluzione del trasporto pubblico degli anni Trenta.
Non si fa fatica a capire che le tre donne, così come tutti gli altri romani che si vedono più indietro, appena scesi dal tram, stanno andando al Cimitero del Verano. Portano i fiori per stemperare il dolore che hanno segnato sul viso, e rendere omaggio ai propri defunti, sepolti tra molti altri che da secoli riposano al camposanto dei romani.
Agli inizi dell’Ottocento un editto napoleonico impose che le sepolture fossero fuori dalla città. Così l’architetto Giuseppe Valadier terminò il progetto nel 1812, ma ci vollero una trentina di anni per costruirlo. Camminando al Verano, tra le tombe antiche, se ne trovano che stanno lì da un paio di secoli. In mezzo a veri e propri monumenti dell’arte funeraria, che fanno di questo cimitero un vero e proprio museo a cielo aperto
Subì pesanti danni durante il bombardamento del 19 luglio 1943, ma la ricostruzione ne salvaguardò l’impronta originaria: quella di una silenziosa città dell’eterno riposo che pare una sorta di crocevia con la città viva e vitale che scorre appena fuori, con il capolinea degli autobus in mezzo al grande piazzale e San Lorenzo un po’ più in là.
Nella collana “Come eravamo” sono pubblicati anche volumi dedicati ai quartieri: Trieste-Salario, Montesacro, Nomentano, Monteverde, Prati e Trastevere.
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