A cura di Gianluigi Spinaci
La figura della nobildonna romana del Cinquecento Beatrice Cenci, rappresentata da scrittori, musicisti e pittori e divenuta eroina popolare, è associata a un processo che, per la feroce condanna con cui si concluse, fece scalpore.
La vita di Beatrice fu costellata da percosse e violenze subite dal padre Francesco, rabbioso conte in disgrazia ma ancora socialmente influente, che si sfogava maltrattando la figlia e la seconda moglie Lucrezia. Le due donne tentarono di liberarsi dalla morsa del capofamiglia, ma senza successo. L’ultimo tentativo, complici Beatrice, i fratelli e Lucrezia, per il conte fu fatale: venne prima stordito con l’oppio e poi finito a colpi di martello alla gola e al cranio.
Provarono poi a mistificare il delitto, ma i congiurati vennero processati e condannati: Beatrice e Lucrezia alla decapitazione, il fratello maggiore allo squartamento. Ai tempi le esecuzioni venivano svolte in pubblica piazza a Castel Sant’Angelo. Tanta era la folla solidale con la famiglia Cenci e contraria all’ingiusta condanna che vi furono morti per schiacciamento e diverse persone caddero nel Tevere.
Sepolta nella chiesa di San Pietro in Montorio, la sua tomba fu profanata da soldati francesi che si fecero beffe del teschio lanciandoselo per il bivacco. Leggenda vuole che, nelle notti estive, il fantasma di Beatrice si aggiri senza testa nel cortile davanti alla chiesa in cerca di pace.