Tra i quartieri di Trastevere e Monteverde Vecchio si estende Villa Sciarra a ridosso delle mura Gianicolensi.
Dalla metà del ‘600 è proprietà di Maffeo Sciarra ma solo fino all’inizio del ‘900 quando passa a Giorgio Wurts, un americano appassionato di giardini che la ristruttura secondo il gusto neobarocco. Grazie alla volontà del proprietario e di sua moglie, Henrietta, nel parco vengono sistemate le celebri statue settecentesche originarie del Castello Visconti di Brignano d’Adda.
Dopo la morte del marito nel 1930, Henrietta Wurts dona la villa a Mussolini con la condizione che diventasse un parco pubblico. Eppure, prima di questi nobili proprietari, si racconta che la regina Cleopatra ospite (e amante) di Giulio Cesare abitasse in questa villa durante il suo soggiorno a Roma. Al tempo terreno rurale, la sovrana egizia la trasformò completamente in una piccola Alessandria d’Egitto.
Un ingresso al parco si trova in via Calandrelli, oltrepassando il portale progettato da Pio Piacentini nel 1908. Sui due pilastri laterali due erme in stile classico probabilmente ritraggono i coniugi Wurts. La passeggiata all’interno di questa Villa è un percorso all’insegna di un passato bucolico, governato dallo scandire naturale del tempo. Immediatamente ci si ritrova di fronte alla fontana con due piccoli satiri che giocano con una capretta, rimando al tema mitologico.
Nella zona dell’uccelliera si incontra la fontana dei satiri. Queste creature sorreggono una grande conchiglia da cui fuoriesce l’acqua. Le sculture non finiscono qui: è presente anche la statua della dea Diana e del pastore Endimione, a ridosso di un laghetto e dell’omonima fontana. L’angolo più sorprendente della Villa è però quello che accoglie l’esedra dei dodici mesi. Una pianta di lauro molto ben curata si estende a semicerchio, con dodici nicchie in cui sono poste le statue raffiguranti i dodici mesi dell’anno.
La zona del Ninfeo doveva essere una costruzione maestosa, con giochi di architettura e diverse fontane al suo interno. Edificata nel 1912 da Enrico Gennai, rimane però solo lo scheletro della facciata. Infine il Casino Barberini che ha mantenuto l’aspetto originario e ospita dall’inizio del Novecento la sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici. Dal terrazzo della torretta è possibile vedere tutta la città fino ai Colli Albani.
(Sara Gasperini)