Roma brulica di leggende. Sotto le strade e le fondamenta delle costruzioni, il terreno continua a nascondere antiche storie avvolte dalla magia e dal mistero. Una soprattutto, circonfonde l’Urbe da quasi 2800 anni alimentandone il mito: è quella che racconta della sua fondazione.
L’origine di Roma viene da molto lontano: dalla tempra, dalla generosità e dalla sagacia di Enea, il principe Troiano, figlio di Venere, che salva il vecchio padre Anchise dalle fiamme di Troia, arsa e distrutta sotto la furia indomabile dei greci.

Enea, Anchise and Ascanio by Gian Lorenzo Bernini,
Lo racconta Virgilio, nell’Eneide. Nella fuga, l’eroe porta in salvo anche il figlio Ascanio. S’illude che tutti i suoi cari siano al sicuro, con lui, lontani da Troia. Ma manca la moglie Creusa: Enea urla il suo nome disperatamente quando – ecco – gli si fa avanti il vuoto simulacro della moglie che non riesce ad abbracciare. Si tratta del fantasma di Creusa: la sua voce è dolce ma ferma. Il suo destino ormai è segnato ma non quello di Enea che deve scappare. Non può fermarsi, lo vogliono gli dei: la sua stirpe, infatti, fonderà un grande popolo.
La nascita di Roma è un passo.
Dopo un lungo pellegrinaggio nel Mediterraneo, Enea giunge nel Lazio dove è accolto da Latino, re degli Aborigeni, e si innamora perdutamente, ricambiato, dalla figlia del sovrano, Lavinia, già promessa a Turno, re dei Rutuli. La guerra esplode. I Rutuli sono sconfitti ed Enea fonda in onore di sua moglie la città di Lavinio, l’attuale Pratica di Mare. Il tempo scorre e trent’anni dopo è suo figlio Ascanio a porre le fondamenta di una nuova città sulla riva destra del Tevere, Alba Longa, dove vivono i suoi discendenti.
La leggenda sta per giungere rapidamente al suo culmine.
Molto tempo dopo, il legittimo sovrano di Alba Longa, Numitore, è spodestato dal fratello Amulio che costringe sua nipote Rea Silvia a diventare vestale. L’obbligo di ogni vestale è la castità e, in questo modo, il pericolo di qualunque pretendente sembra essere scongiurato. Ma gli dei non stanno a guardare; il dio Marte s’innamora di Rea Silvia e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo. La loro sorte è segnata ma il soldato che avrebbe dovuto uccidere i due infanti non riesce ad adempiere al suo orribile compito e li ripara in una cesta che poi abbandona alle acque del Tevere.
Il pianto dei bimbi, arenati in una zona paludosa nei pressi del monte Palatino, è udito da una giovane lupa: i suoi cuccioli sono morti e l’animale trova naturale prendersi cura dei due piccoli e li allatta. Poco dopo, sopraggiunge un pastore: è Faustolo e adotta i fratelli.
Ormai adulti, i due giovani aiutano il nonno Numitore a tornare sul trono e uccidono l’impostore Amulio decidendo di fondare una nuova città nel posto in cui sono cresciuti. Ma i due fratelli non riescono a mettersi d’accordo sul luogo della fondazione, a poca distanza dal Tevere. Ciascuno vuole farsi valere e a nulla valgono i toni che s’inaspriscono e la rabbia che tracima dai loro corpi.
Provano a far decidere al fato, attraverso il volo degli uccelli, ma la volontà d’imporsi l’uno sull’altro è ormai più forte di qualunque segno divino; il sentimento di fratellanza che li unisce è distrutto.
Alla fine, Romolo uccide Remo e fonda la Città Eterna, tracciandone il perimetro con l’aratro, nell’area del monte Palatino.
Romolo, discendente di Enea, è il primo re di Roma. È il 754 a.C..