Oggi vogliamo proporvi un itinerario attraverso le epoche nel quartiere di Monteverde. Visiteremo insieme luoghi che si legano a sanguinose battaglie ed eroiche figure di combattenti, che si sono sacrificati per un ideale.
Il Gianicolo e Muzio Scevola
Sulla cima del Gianicolo riecheggia la leggenda di un eroe quasi mitico: Muzio Scevola. È il 508 a.C., Roma è assediata dagli etruschi di Lars Porsenna. I nemici hanno posto il loro accampamento qui sul Gianicolo e lungo la sponda del fiume. Impediscono l’arrivo di rifornimenti.
Il giovane Gaio Muzio non sopporta di vedere il suo popolo soffrire gli stenti. Per questo progetta una sortita in campo nemico per uccidere il comandante. Ma viene catturato e portato al cospetto di Porsenna, che lo interroga furioso. Minaccia di bruciarlo sul rogo se non gli darà informazioni. Gaio, però, non ha alcun timore e per dimostrarlo compie un gesto eclatante. Stende la mano destra sul fuoco, lasciandola bruciare, senza un lamento. Ammirato per il suo coraggio, Porsenna deciderà di liberarlo. Da quel momento verrà chiamato “Scevola” cioè “il mancino”.
Porta Portuense e il Sacco dei Vandali di Genserico
L’odierna Porta Portese risale al 1644. Sostituisce un antico accesso, demolito proprio in quell’anno insieme a una lunga porzione delle Mura Aureliane: Porta Portuensis. Quest’entrata si trovava un po’ più in là lungo la strada, più o meno all’altezza dell’odierno incrocio con via Ergisto Bezzi.
È un luogo scomparso, che evoca la memoria del Sacco dei Vandali. È il 455 d.C. L’imperatore Valentiniano III è appena stato assassinato, vittima di un complotto ordito da Petronio Massimo, che si fa eleggere al suo posto. Nel tentativo di legittimare il proprio potere, egli costringe l’imperatrice Licinia Eudossia a sposarlo. Forse, è lei a chiamare in proprio soccorso Genserico, re dei Vandali, che tempo prima avevano sancito un patto con Roma. Un accordo che la morte di Valentiniano ha reso inefficace.
Così, approfittando della situazione, Genserico si mette in marcia. Petronio non cerca neppure di fermarlo. Quando scopre del suo arrivo, tenta di darsi alla fuga. Ma qualcuno lo riconosce e lo addita alla folla, che lo uccide. L’unico che ha il coraggio di affrontare il re dei Vandali è il vescovo di Roma: papa Leone Magno. Il 2 giugno del 455 d.C., il pontefice si spinge fin qui, a Porta Portuensis, per convincere il nemico a non accanirsi sulla popolazione.
Villa Lante e il Sacco dei Lanzichenecchi
Su una parete del grande salone di Villa Lante, oggi sede dell’ambasciata di Finlandia, si conserva un graffito che recita: “A dì 6 maggio 1527 fo la presa di Roma”. È il messaggio, orgoglioso e beffardo, di uno dei soldati che in quella data mettono a ferro e fuoco la città. Si tratta delle truppe dell’esercito dell’imperatore Carlo V, per la maggior parte costituito dai Lanzichenecchi, mercenari famosi per la loro crudeltà.
Quel 6 maggio 1527, dopo alcune ore di cruenta battaglia sotto le mura del Vaticano, i soldati riescono a penetrare in città. Per giorni, Roma è in preda al caos, attraversata da una scia di violenza, stupri e omicidi.
Le Mura Gianicolensi e Colomba Antonietti
Vicino all’ingresso di Villa Sciarra, lungo le Mura Gianicolensi, una gigantesca targa ricorda l’eroico sacrificio di tanti soldati, morti in difesa della Repubblica Romana. Tra di loro c’è anche una ragazza che combatte vestita da uomo. Il suo nome è Colomba Antonietti ed è una vera patriota, accesa dal desiderio di vedere l’Italia libera e unita.
È il 13 giugno 1849. Dopo aver lanciato un ultimatum, il generale Oudinot ha dato ordine ai suoi di aprire il fuoco contro la città. L’esercito francese sta cercando di rovesciare la neonata Repubblica, per restituire Roma al pontefice, Pio IX. Quel pomeriggio, mentre i cannoni tuonano, Colomba cercare di alzare una barricata insieme ai suoi compagni. Ma un proiettile rimbalza sul muro e la colpisce in pieno petto. Muore tra le braccia di suo marito, Luigi Porzi.
Via Anton Giulio Barrili 46 e Silvio Barbieri
In via Anton Giulio Barrili 46, una targa sbiadita dal tempo segnala la casa di un partigiano, martire delle Fosse Ardeatine. Si chiama Silvio Barbieri, ha quarant’anni, tre figlie piccole e lavora come disegnatore tecnico alla Manifattura tabacchi. È un uomo del popolo, fervente comunista, che non si tira indietro quando nella Capitale prende vita la Resistenza. Non impugna le armi, ma si occupa di dare assistenza alle famiglie dei perseguitati politici. Raccoglie denaro per loro, vendendo di nascosto bollini.
È una spia a consegnarlo nelle mani dei nazifascisti. Le SS si presentano alla sua porta il 6 febbraio 1944. Viene arrestato e condannato a cinque anni di carcere. Ma non potrà mai riabbracciare la moglie e le sue bambine. Silvio verrà barbaramente assassinato alle Fosse Ardeatine.
(Sara Fabrizi)