“Hot Spot. Caring for a burning world” si terrà fino a domenica 26 febbraio alla Galleria Nazionale di arte moderna e contemporanea (GNAM) a Roma, in viale delle Belle Arti 131.
Si tratta di una mostra collettiva – curata da Gerardo Mosquera – che s’interroga sulla necessità di preservare e curare il pianeta terra.
Ed è un’esposizione imperdibile.
“La catastrofe ambientale è a un passo” sembrano gridare gli artisti attraverso le opere esposte e realizzate proprio per gli spazi della Galleria Nazionale. Sollecitano una riflessione a tutto tondo sul tema ma non lesinano espressioni di violenta denuncia sulla colpevole inazione delle istituzioni e sulla generale perdita della poesia da parte della società contemporanea, un perduto senso del poetico che è espressione della caduta del nostro rapporto con la natura.
In esposizione, i lavori di 27 tra artisti e artiste di varia nazionalità e di diverse età, tra cui Ida Applebroog (Bronx, New York, 1929), John Baldessari (National City, California, U.S., 1931— Los Angeles, California, U.S., 2020), Renata Boero (Genova, 1936), Johanna Calle (Bogotá, Colombia, 1965), Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), Raquel Paiewonsky (Puerto Plata, Repubblica Dominicana, 1969), Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) e Alejandro Prieto (Guadalajara, Messico, 1976).
Enormi gorilla di montagna, animali superbi ma gravemente in pericolo a causa di guerre e sfruttamento antropico, ci fissano negli occhi mentre saliamo la monumentale scalinata della Galleria d’arte moderna e contemporanea per raggiungere l’ingresso. Alle nostre spalle, a pochissima distanza, si staglia Villa Borghese, il polmone verde di Roma con i suoi platani monumentali. Bastano forse questi dettagli per racchiudere il senso di una delle mostre più interessanti della Capitale “Hot spot- Caring for a burning worl”.
All’interno, pianoforti fioriti e fotografie di disastri ambientali si alternano come in una danza, mentre forme umane – in un’eco che sa di Ovidio – s’intrecciano a dar vita a graziosi alberi da frutto. C’è posto anche per gli antichi rituali – ponte tra America e Africa – della candomblè che prendono forma nelle performance che hanno luogo nelle sale.
“Hot spot” non è solo una mostra ma una riflessione intensa e delicata sul modo in cui si può e si deve immaginare un nuovo rapporto con l’ambiente restituendogli, contemporaneamente, quel senso del sacro che gli abbiamo impunemente strappato.