Negli anni Cinquanta il fervore della ricostruzione post-bellica che nel Paese avrebbe portato al cosiddetto boom, si tradusse in un fenomeno per certi versi molto attuale: ripartire mettendo in campo tutto il possibile. Con le migliori energie, con i capitali disponibili, con i progetti più ambiziosi. E, come sempre succede, anche con molti appetiti. Leciti e meno leciti. Il processo di forte industrializzazione fu uno dei primi risultati della ripresa italiana. La riorganizzazione della macchina burocratica statale fu, a un tempo, una necessità e un fattore di sviluppo.
Nacquero, o tornarono a svilupparsi, settori economici che nel periodo bellico avevano conosciuto un inevitabile blocco. Tutto questo ebbe come prima conseguenza quella di muovere enormi masse di persone attraverso l’Italia. L’emigrazione dal Sud, ma anche da una regione all’altra del Nord e del Centro, fu spinta dal vento delle opportunità, reali o presunte: si andava laddove s’intravedevano possibilità di una vita migliore. Roma e altre grandi città del Centro e soprattutto del Nord (in primis, Milano e Torino) furono punti di approdo per milioni di italiani. Nella Capitale, l’arrivo di queste masse di “nuovi romani” provocò un effetto domino sulla popolazione già presente nei suoi quartieri storici e periferici. Lo stesso concetto di “periferia” fu investito dal cambiamento, perché la rapida nascita di nuovi agglomerati urbani, destinati (forse) un giorno a trasformarsi in “quartieri”, comportò un ridisegno della città. Ciò che una volta era considerata periferia o semi-periferia, fu destinata a diventare – se non centro – qualcosa di intermedio tra il cuore storico e i nuovi insediamenti.
Avere presente questo quadro storico è oggi indispensabile se si vuole comprendere la genesi di quartieri come Vigna Clara e Fleming, che sono l’opposto di quelle che comunemente definiamo “periferie romane”, ma che per certi aspetti sono il risultato della stessa matrice. Il fervore edilizio – per usare un’espressione piuttosto soft – che segnò quegli anni, investì sì tutta la Capitale, ma non fu tutto dello stesso segno. In quest’area di Roma Nord tra la Cassia e la Flaminia, bagnata dalla riva destra del Tevere e ricca di sconfinati territori dal sapore bucolico, molti romani videro l’elemento distintivo che derivava dall’abitare in aree caratterizzate dal verde, da spazi concepiti secondo logiche di adeguata distanza, da servizi di target medio-alto. Vigna Clara e Fleming divennero così il cuore di quella che oggi va generalmente sotto il nome di “Roma Nord”, definizione che è diventata ormai molto di più di un’indicazione geografica, perché nella percezione comune sta a indicare la “Roma bene”: più dei Parioli, più del Trieste-Salario o di Prati.
Probabilmente chi – negli anni Cinquanta e nelle epoche successive – coprì queste aree di cemento, costruendo di fatto un’altra città, non si pose minimamente il tema se in quegli spazi sconfinati che – superato Ponte Milvio – si aprivano tra l’Insugherata e l’Inviolatella Borghese, Tor di Quinto e Saxa Rubra, si potesse pensare a uno sviluppo diverso da case e piazze, piazze e case, centri commerciali e di nuovo case. Un modello di sviluppo alternativo sarebbe stato possibile? Forse sì, se è vero che quegli anni furono segnati dagli scandali e dai processi. Quelle vicende contribuirono a conferire a questa parte di Roma un’immagine di “figlia del peccato” (leggi speculazione edilizia) che nel tempo ha finito per offuscare la sua immagine più vera. Perciò oggi, chi parla genericamente di Roma Nord, alludendo a un certo modo di essere snob dei romani che abitano quartieri senz’anima e senza un passato come Vigna Clara e il Fleming, verosimilmente ignora che quest’area della Capitale è tra le più ricche di storia e al tempo stesso tra le meno conosciute, e in ogni caso tra quelle che ancora oggi potrebbero riservare sorprendenti rivelazioni sul nostro passato, a cominciare dalla preistoria.
Dai mammut, i cui resti oggi trovano posto nei musei romani, fino a ciò che si è salvato dei sepolcri e delle antiche dimore patrizie, il corso della storia ci ha lasciato in eredità una narrazione di grandissimo valore. Narrazione che, in questo libro, Sara Fabrizi segue puntualmente fin dall’alba dei tempi per arrivare ai giorni nostri, guidandoci in un viaggio nel tempo che sorprende ed entusiasma per le vicende, le leggende, i personaggi che incrociamo, per poi scoprire che qui ogni nome – anche il più particolare o caratteristico – ha un’origine ben precisa e spesso nasconde una storia nella Storia.
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