Tra le borgate della Capitale diventate quartieri, Centocelle è un esempio, certamente tra i più emblematici, per capire come Roma – dal dopoguerra a oggi – abbia conosciuto uno sviluppo molto simile a uno sfogo: la necessità di crescere di una città non più comprimibile nei territori abituali ma spinta – da cause molto diverse tra loro e tutte comprensibili – a ricercare nuovi spazi e nuove possibilità. Ecco che l’idea di un quartiere formatosi quasi in una logica di progressiva sovrapposizione risulta abbastanza comprensibile: immigrazione dal sud e da altre zone della regione, fuga dalle zone più degradate, approdo di comunità tradizionalmente ai margini della società, sono tutti elementi reali di un tumultuoso processo di inurbamento che negli anni ha portato al quartiere di oggi. Una visione realistica, quindi, che spesso però finisce con il formare dei pregiudizi sul “quartiere-borgata”, che può indurre a svalutarne l’identità e rischia di allontanare dalla realtà storica, che come sempre è più complessa di quanto non ci appaia. Più complessa e assai più affascinante.
Nel raccontare La Storia di Centocelle, dalla preistoria ai giorni nostri, Sara Fabrizi fa quello che ha già fatto negli altri volumi pubblicati da Typimedia su numerosi quartieri di Roma: parte dall’alba dell’umanità e attraversa le varie
epoche percorrendo quest’area in tutte le sue innumerevoli direzioni. Ma nel caso di questa porzione di Roma che guarda a est si ha come l’impressione che l’autrice – ancor più di altre volte – ci voglia trasmettere la sua meraviglia per la quantità e la qualità degli “ancoraggi” storici che il suo racconto riesce a trovare fin dalle prime tracce della presenza umana. Le origini e le caratteristiche di questo territorio certamente favoriscono insediamenti che molti anni dopo, agli occhi degli archeologi e degli studiosi, rappresenteranno un’autentica miniera di reperti, di testimonianze e di notizie.
E il rapporto di Centocelle con l’archeologia è un capitolo di straordinario interesse – potremmo dire trasversale all’intero racconto – in quanto nel suo sottosuolo ha nascosto, e nasconde tuttora, un’eredità del passato che, oltre ad aver impreziosito via via raccolte e musei, oggi potrebbe essere un’autentica risorsa per una narrazione del quartiere strategicamente rivolta a una sua inedita valorizzazione. La domanda che questo libro sembra voler provocare è: Centocelle potrebbe essere la tappa di un percorso turistico-culturale alternativo attraverso la Capitale? La risposta non è semplicemente (e banalmente) affermativa, ma è qualcosa di molto più grande e affascinante. Intanto perché questo vale per Centocelle così come per molti altri quartieri romani sottovalutati, snobbati, ignorati. E poi perché, immergendosi in questo libro, si resta letteralmente a bocca aperta nel leggere le vicende che hanno attraversato questo territorio e le testimonianze che hanno disseminato. Dalla creazione della via Labicana per raggiungere l’antica Labicum (poi distrutta dai romani nel 418 a.C.) fino alla costruzione del primo aeroporto italiano, l’avventura di Centocelle ci accompagna per venticinque secoli regalandoci pagine di straordinaria intensità, e il cui esito in definitiva è quello di restituirci la consapevolezza di quanto la fotografia del presente – bella o meno bella che possa apparirci – non possa che risultare effimera e volatile rispetto alla potenza della storia.
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