Se c’è un quartiere che può ambire a simboleggiare e raccontare la contraddittoria e complessa metamorfosi della società post-industriale in una metropoli, questo è certamente il Pigneto. A cominciare dalla “qualifica” di quartiere che in questo volume di Typimedia (e in molti altri contesti) gli viene attribuita, perché in teoria il Pigneto farebbe parte di un quartiere molto più grande come il Prenestino-Labicano, che però è già “città nella città”, mentre il Pigneto no. Il Pigneto è (anche) paese. Il Pigneto è comunità. Il Pigneto è appartenenza, o perlomeno desiderio di identificazione con un mondo che parla – a un tempo – di passato e di futuro.
In questo senso il Pigneto è – a tutti gli effetti – un quartiere. Anzi, il quartiere. Laddove con questo termine si intenda appunto una comunità che consapevolmente sceglie di stare in un luogo della metropoli piuttosto che in altri perché solo in quel luogo riconosce, o crede di riconoscere, quelle caratteristiche che possono farne il posto dove vivere davvero, e quindi non dove tornare a dormire la sera o da cui fuggire ogni venerdì pomeriggio per rientrare al lunedì da weekend di “rigenerazione”.
E allora quali sono quelle caratteristiche che del Pigneto hanno fatto, e fanno tuttora, un quartiere così amato dalle nuove generazioni, da intellettuali, giovani professionisti, artisti, coppie e persone comunque alla ricerca di un approccio “diverso” alla grande città? Certamente giova quel mix di atmosfera bohemien-chic e caos creativo di alcune fasi della giornata. E certamente aiuta quell’essere abbastanza centrale ma adeguatamente distante dalla Roma degli affari e della politica. Ma la sensazione è che più di tutto conti la storia di questa parte di Roma. Una storia davvero particolare.
Nel leggere “La Storia del Pigneto dalla preistoria ai giorni nostri”, il volume di Typimedia curato da Gaia Marnetto e il coordinamento editoriale di Simona Dolce, non si può non restare affascinati dal percorso che questo quartiere ha compiuto nella grande Storia di Roma. Il libro è un racconto davvero sorprendente per le vicende e i personaggi che riesce a mettere in fila partendo dall’alba dell’uomo per arrivare alla contemporaneità, attraverso cambiamenti che solo in parte sono comuni a quelli della Capitale.
E proprio qui sta la peculiarità del Pigneto, nel suo essere una Roma in gran parte diversa da quella che siamo abituati a conoscere. Non solo perché quest’area orientale della città una volta – è il caso di dirlo – “era tutta campagna”, ma anche perché sia il processo di urbanizzazione, sia quello successivo di industrializzazione, qui hanno avuto caratteristiche, protagonisti e vicende del tutto particolari. Basti pensare al rapporto di questo quartiere con l’acqua, risorsa fondamentale, a partire dagli acquedotti romani che scendevano dalle alture orientali fino a quel lago che in epoca recente (anni Novanta) si è imposto sul cemento come autentico “monumento naturale”, tanto da diventare un simbolo della lotta all’urbanizzazione selvaggia. Il lago Sandro Pertini (che in molti continuano a chiamare ex-Snia perché l’area era occupata dalla Snia Viscosa) nasce da quella “acqua bullicante” che scorre qua sotto e che dà pure il nome a una via.
Ma “bullicante” potrebbe essere l’aggettivo perfetto per il Pigneto nel raccontarne la storia, soprattutto in alcune vicende che qui hanno visto lotte politiche e operaie così importanti per i diritti e per la libertà da fare scuola e lasciare il segno. Le donne, i ferrovieri, gli operai delle aziende che qui si erano installate: le loro rivendicazioni hanno scritto pagine memorabili, così come il sacrificio di molti durante la dittatura fascista e poi la Resistenza. Di tutto questo parla questo libro, e di molto altro ancora, nel raccontare il quartiere più “bullicante” della Capitale.
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