Alla fine degli anni ’70, a Roma, nella borgata dell’Acquedotto Felice centinaia di migranti provenienti dal Centro-sud vivono nelle baracche. Un giovane prete, Roberto Sardelli, decide di andare a vivere proprio lì e vi costruisce una scuola. Lo fa nella baracca n. 725, dove realizza una delle più straordinarie iniziative di pedagogia popolare mai realizzate in Italia. Le sue lezioni non forniscono solo nozioni, ma trasformano la testa dei giovani, sconfiggono la miseria e l’emarginazione attraverso la presa di coscienza della propria condizione e attraverso lo studio.
È lo stesso don Roberto a raccontarsi ripercorrendo la propria vita, gli incontri decisivi, come quello con don Milani, e i contrasti con le autorità, sia politiche sia religiose, le sconfitte e le vittorie. Nelle parole del prete emerge quello stesso spirito anticonformista che aveva trasmesso ai suoi ragazzi.
Nel libro è infatti riprodotta la “Lettera al Sindaco”, con cui i giovani chiedevano con forza al primo cittadino di Roma di fare finalmente qualcosa per la borgata. In un momento in cui la scuola sembra riservata a svolgere una funzione puramente didattica, quello della “Scuola 725” si pone come un modello alternativo a questo orientamento: un’idea di scuola aperta a tutti e strumento di liberazione e di emancipazione sociale e morale.