Villa Giulia
Incastonata nel cuore del Flaminio, Villa Giulia è davvero una perla del Rinascimento. A ordinarne la costruzione, nel 1551, è papa Giulio III, grande mecenate e patrono delle arti e delle scienze. Diversi artisti concorrono a rendere magnifico questo luogo di villeggiatura estiva, edificato in quella che, al tempo, è aperta campagna: Jacopo Barozzi del Vignola, Bartolomeo Ammanati – che lascia la sua firma nel famoso ninfeo –, Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti.
L’edificio che ammiriamo oggi, sede del Museo nazionale etrusco, rappresenta soltanto un frammento di Villa Giulia. In origine, infatti, la dimora è circondata da giardini e vigne ben coltivate, che si estendono fino alla riva del Tevere. Nel luogo in cui ai giorni nostri sorge il Palazzo delle Marina, al tempo c’è persino un piccolo approdo fluviale. Un porticciolo utilizzato dal pontefice che spesso raggiunge la sua residenza in barca dal Vaticano.
Chiesa di Sant’Andrea del Vignola

La piccola chiesa di Sant’Andrea del Vignola, in via Flaminia. La fece costruire nel 1553 Papa Giulio III su disegno di Jacopo Barozzi detto il Vignola (foto da beniculturalionline.it)
Un gioiello sacrificato alle esigenze della modernità. È questa l’impressione suscitata ai giorni nostri dalla chiesa di Sant’Andrea del Vignola, quasi ridotta a fare da spartitraffico all’incrocio tra via Flaminia e via Enrico Chiaradia. È completamente avulsa dal suo contesto originario, rappresentato dal grande complesso di Villa Giulia. È il 1553, quando il pontefice, Giulio III, la fa erigere all’interno dei giardini della sua vasta residenza. Il suo scopo è sciogliere un voto ed esprimere la propria riconoscenza a Sant’Andrea, che lo avrebbe salvato da morte certa.
La vicenda risale a oltre vent’anni prima. Nel maggio del 1527, i Lanzichenecchi entrano a Roma e la mettono a ferro e fuoco. Per liberare la città dalla morsa dell’esercito dell’imperatore Carlo V, l’allora pontefice, Clemente VII, deve trattare. Oltre al pagamento di un riscatto, è costretto a consegnare alcuni ostaggi. Tra di loro c’è il cardinale Giovanni Maria Ciocchi del Monte, futuro papa Giulio III. La sua lunga prigionia si conclude soltanto la notte del 30 novembre, festa di Sant’Andrea, quando riesce a fuggire in modo rocambolesco.
Palazzo Borromeo

Palazzo Borromeo visto dalla Flaminia (da Wikipedia, autore Lalupa)
Le bandiere che sventolano sulla facciata in viale delle Belle Arti 2 indicano che ci troviamo di fronte alla sede di una rappresentanza diplomatica. Questa è l’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, collocata all’interno di un prestigioso edificio d’epoca: Palazzo Borromeo, anche detto palazzina di Pio IV.
La struttura viene realizzata a metà del Cinquecento sui terreni confiscati agli eredi di papa Giulio III. Pio IV la fa costruire per farne dono ai suoi amati nipoti: il nobile conte Federico Borromeo e suo fratello, il cardinale Carlo. Due giovani in cui egli ripone tutte le proprie speranze. Nel 1562, però, prima che l’edificio venga completato, un tragico evento sconvolge i suoi piani. Il giovane Federico, destinato a dare lustro e discendenza al casato, muore a soli 27 anni. Carlo, devastato dalla perdita, decide di lasciare Roma, dove avrebbe l’avvenire spianato, per trasferirsi a Milano. Per lui inizia quel percorso di conversione che lo condurrà alla Santità.
Il cantiere, dunque, si interrompe bruscamente. I lavori verranno portati a termine soltanto in modo parziale. Palazzo Borromeo passa nelle mani di Anna, sorella di Federico e Carlo. Successivamente, per via di matrimonio, la proprietà verrà acquisita dai Colonna di Paliano.
Le targhe delle piene del Tevere

Un particolare delle lapidi sulle inondazioni (foto da turismoroma.it)
Durante il Rinascimento, così come nelle epoche precedenti, le piene del Tevere sono molto frequenti. Quando le piogge gonfiano la sua corrente, il fiume esonda e le acque, incanalandosi lungo via Flaminia, invadono la città, portando morte e devastazione fin dentro il cuore della Città Eterna.
In piazza del Popolo, proprio accanto alla porta, ci sono due antiche targhe che testimoniano questo stato di cose. Entrambe scritte in latino, raccontano i danni terribili causati da due alluvioni del Tevere: quella avvenuta nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 1530 e quella del 20 gennaio 1599.
Vigna Altemps

La facciata di Villa Altemps, oggi non più esistente, in un disegno seicentesco di Giovan Battista Mola (da lombardiabeniculturali.it)
L’ultima tappa in questo viaggio, che ricostruisce storia e atmosfere del quartiere in epoca rinascimentale, ci conduce in piazzale Flaminio. Qui, a destra di Porta del Popolo, dove oggi sorge palazzo Valli, alla fine del Cinquecento si estende la vigna della famiglia Altemps. Un grande possedimento cui si accede tramite un portale in travertino a due piani, sormontato da un balcone con loggia. Una vera opera d’arte realizzata dall’architetto Onorio Longhi. Il casino verrà demolito nel 1882, per consentire l’allargamento di via Flaminia e la realizzazione del piazzale. Il portale, però, verrà salvato. Lo si può vedere ancora oggi, sulla facciata del palazzo della tesoreria comunale in via del Campidoglio.
(Sara Fabrizi)