Pochi libri di storia romana, come questo su Cinecittà-Don Bosco, riescono a racchiudere e a spiegare efficacemente le caratteristiche della Capitale, osservandone in controluce gli aspetti positivi e quelli che di positivo, invece, hanno davvero poco. Nella vicenda storica di questo quartiere (due quartieri, nella visione di molti) ci sono infatti tutte le contraddizioni che da sempre segnano la cosiddetta “romanità”. Grandi potenzialità e grandi miserie, preziosi resti archeologici e massicce speculazioni edilizie, encomiabili iniziative sociali e fenomeni di criminalità comune, personalità di altissimo valore e personaggi del peggior sottobosco. Leggere la storia di Cinecittà-Don Bosco avvicina davvero alla comprensione di che cosa sia stata la storia di Roma nei suoi oltre 2700 anni di vita.
Il viaggio che Sara Fabrizi ci propone in questo nuovo volume della collana di Typimedia sulla storia di Roma, è uno spaccato che non solo ci trasporta nelle vicende di Cinecittà-Don Bosco dalla preistoria ai giorni nostri, ma più ambiziosamente ci fa comprendere come questa parte della Capitale – l’area metropolitana che guarda ad Est – nei secoli sia stata teatro di un’espansione costante, spesso incontrollata, in cui – si potrebbe dire – c’è stato posto per tutti: così sono nati centri più piccoli che all’inizio erano borgate e sono poi diventati quartieri veri e propri, destinati a confluire in quartieri più grandi, dai numeri equivalenti a quelli di vere e proprie città. Tutto questo ovviamente ha significato una crescita tutt’altro che ordinata, niente affatto pianificata se non nelle carte dei voraci palazzinari e dei loro sodali, con contraddizioni e disservizi spesso macroscopici. Ma tant’è: i quartieri sono diventati comunità, o insieme di comunità, a dispetto della scarsissima attenzione di “quell’altra Roma”, che con disinteresse, spesso con fastidio e un certo snobismo, ogni tanto deve prendere atto che “verso il raccordo” – e anche “oltre il raccordo” – la città continua. Eccome se continua.
Nei tempi moderni Cinecittà-Don Bosco lega la sua nascita a due elementi sociali riconoscibili già nella denominazione: il cinema e il culto per un santo, San Giovanni Bosco. Un grande impianto cinematografico e una grande basilica costituiscono la rappresentazione plastica di queste origini, collocabili entrambe nel secolo scorso. Ma la storia di questa parte di Roma comincia molti secoli prima e le sue testimonianze – ancorché meno visibili degli studios e della basilica – sono per certi aspetti ancor più affascinanti. Intanto perché molto meno conosciute, e poi per quello straordinario potenziale attrattivo che Roma continua a sfruttare poco e male, e che potrebbe fare di queste zone un nuovo itinerario turistico-culturale in grado di affascinare, sorprendere e anche di ribaltare molti luoghi comuni sulle periferie.
Perché il “fascino indiscreto” delle periferie romane starà pure nei palazzi coperti di graffiti o in opere post-moderne, ma intanto sapere che tra moderni condomini e piccoli giardini si nascondono sepolcri, ipogei e antiche ville di epoca imperiale, è qualcosa che spinge a pensare: ma se questo patrimonio l’avessero avuto i francesi, o i tedeschi, o gli inglesi, che ne avrebbero fatto? Chiunque sia stato all’estero, sa quanto i nostri cugini europei siano bravi a valorizzare quel poco che hanno. Noi forse abbiamo troppo, e per questo non siamo capaci di vederlo. Questo libro di Sara Fabrizi su Cinecittà-Don Bosco ce lo spiega una volta di più.
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