Tra le comunità che conosciamo (territoriali, tematiche, virtuali…) quella delle tifoserie calcistiche è certamente una delle più complesse
e delle più eterogenee. Il tifo è infatti l’espressione di una passione che va al di là di tutto e supera qualsiasi barriera, sia essa anagrafica o geografica. Possono esserci cento e una ragione per tifare una determinata squadra, e tutte sono giuste, plausibili e spiegabili, di sicuro non criticabili, se non nei normali sfottò tra rivali di club avversari.
Eppure, in questi ultimi anni, il tifo calcistico è cambiato e sta continuando a cambiare. Da fenomeno di massa circoscrivibile perlopiù ad ambiti nazionali, è diventato realmente transnazionale e poi globale. La rivoluzione digitale, cominciata vent’anni fa ed esplosa dieci anni fa, ha davvero reso il pianeta un villaggio globale, e ha fatto sì che la comunicazione – soprattutto in alcune parti della nostra società – diventasse il collante e l’amplificatore di ideali, di aspirazioni collettive, di passioni. Lo abbiamo visto, e lo stiamo vedendo ogni giorno di più, per eventi epocali dalle conseguenze non sempre semplici e talvolta decisamente dirompenti e preoccupanti. Lo vediamo anche per fenomeni che, invece, di preoccupante non hanno niente, ma semmai meritano di essere approfonditi per gli sviluppi che potrebbero riservare e dei quali oggi, solo in parte, riusciamo a immaginare la portata. Tra questi fenomeni, il tifo calcistico è certamente uno dei più interessanti.
La comunicazione digitale fondata soprattutto sulla multimedialità, quindi trasmissibilità planetaria delle immagini in tempo reale e possibilità di interazione costante, oggi fa sì che alcuni movimenti popolari legati alle passioni – esempio l’amore per un determinato club calcistico – possano diventare fenomeni autenticamente globali trasformando una comunità originariamente “verticale” (soggetti molto diversi tra loro accomunati da uno specifico interesse) in comunità “verticali diffuse”, dove il concetto di “diffusione” sta a indicare una presenza rilevante in più parti del globo.
Ecco che i principali e più blasonati club del mondo, già oggi possono vantare tifoserie non solo nel proprio Paese di origine, ma in tutti i continenti, con riflessi piuttosto importanti, oltreché sull’immagine e la reputazione, su fatturato e ricavi (leggi alla voce merchandising, per esempio). Uno scenario, va sottolineato, che fino a qualche tempo fa non era facile prevedere, e che per le sue dimensioni renderà il calcio una materia sempre più complessa, sfaccettata e appassionante. Ma questa enorme passione popolare, che ha poco più di un secolo, nel nostro Paese nasce da pionieri che erano ben lontani da una concezione “industriale” e “globale” del calcio. Pionieri un po’ avventurosi e un po’ avventati, magari romantici, che sulla scorta dell’esempio inglese fondarono i primi club, realizzarono i primi stadi, portarono la gente a trascorrere la domenica pomeriggio sugli spalti e poi nei bar o nei circoli a imprecare e a gioire, a discutere e ad arrabbiarsi. Così nacque il tifo, un fenomeno che – ad arrivare ai giorni nostri – potremmo tranquillamente annoverare tra le “spie sociali” più interessanti, autentico specchio e interprete della società nella sua evoluzione di questi decenni.
Un libro come il CommunityBook dei tifosi è quindi un modo per raccontare dalle origini un mondo di straordinario fascino, che sta sì cambiando ma che conserva i tratti migliori e più autentici del suo essere, appunto, comunità. I cento (+1) ritratti stanno a indicare – quasi simbolicamente – una porzione ovviamente minuscola di un universo che è fatto da migliaia e migliaia di donne e uomini che condividono una stessa passione rispetto alla quale accantonano censo, status, biografie personali ed esprimo no l’amore per un simbolo, una maglia, una storia. E ogni ritratto dei cento più uno è una piccola-grande avventura umana fatta di ricordi e aneddoti, gioie e delusioni, speranze e rivincite. È la vita di tutti voi, anzi, di tutti noi. Insomma, è vita vera.
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