Arroganti, burloni, allegri, creduloni e di buon cuore, nonostante una certa destrezza col coltello. Così sono le maschere della tradizione romana che raccontano l’essenza stessa del popolo della Città eterna e che rivivono nella commedia dell’arte e nei febbrili giorni del carnevale, quando gli scherzi si moltiplicano tra le vie di Roma.
Fino alla fine del 1800, in via del Corso, le maschere sfilavano accanto alle carrozze dei nobili e la gioia carnascialesca si consumava tra le feste e le corse dei cavalli berberi.
La sera del martedì Grasso, invece, le figure del Rugantino, di Meo Patacca e di don Pasquale (fra le altre), impersonate da figure di ogni estrazione sociale, di ogni sesso e di ogni età, si sfidavano nella “festa dei moccoletti”:
“Tutti quelli che sse trovaveno p’er Corso, sii a ppiede, sii in carozza, sii a ccavallo, sii a le finestre, accennéveno li moccoletti. Poi co’ le svèntole, co’ li mazzettacci de fiori, o co’ le cappellate, ognuno cercava de smorzà’ er moccolo a ll’antro. Tutti te daveno addosso; e o ccor un soffietto, o ccor una svèntola o cco’ ’na manata o ’na mazzettata te lo smorzaveno in ogni modo” (Luigi Zanazzo).
In quest’allegra parentesi di follia e di eccessi esplodeva la piena vitalità popolare e prendeva la forma delle maschere “de Roma”. Ma quali sono le più famose?
Ecco le 5 maschere della tradizione del carnevale a Roma:
- RUGANTINO
- MEO PATACCA
- GENERALE MANNAGGIA LA ROCCA
- CASSANDRINO
- DON PASQUALE DE’ BISOGNOSI
RUGANTINO
Il Rugantino non ha bisogno di presentazioni ed è probabilmente il romano tipico per antonomasia: giovane, arrogante e di bell’aspetto è trasteverino ed è al centro di molte commedie che ancora oggi continuano a riscuotere successo dentro e fuori la Capitale, soprattutto quello che lo vedono eroe della storia d’amore con la bella Rossetta, per amore della quale accetta persino il patibolo. Il suo costume è ambivalente: da popolano, con i calzoni rammendati alla bell’ e meglio, fascia intorno alla vita, camicia, casacca e fazzoletto annodato intorno al collo oppure da “bravo” con un vestito rosso e il cappello a due punte.
MEO PATACCA
Un attaccabrighe spavaldo e coraggioso che si diverte a menare le mani e ha una passione per il vino (al punto che è spesso ritratto con un piccolo fiasco in mano): è Meo Patacca, altra maschera di Trastevere. Anche lui è un popolano e, del resto, lo si potrebbe dedurre con facilità già dal nome: la “patacca” infatti era la paga (risicata) dei soldati. I pantaloni sono portati al ginocchio e legati con nastri; una sciarpa rossa è annodata in vita e gli serve non solo per reggere i calzoni ma soprattutto per nascondere il coltello. Ci tiene particolarmente: sull’arma sono incise le iniziali della sua compagna, Nina, che gliel’ha regalata come pegno d’amore. Ne è così attaccato che non se ne separa mai. La giacca è di velluto e i capelli sono raccolti in una retina.
GENERALE MANNAGGIA LA ROCCA
La maschera del Generale Mannaggia La Rocca è la più esilarante e si riconosce per l’alta uniforme e la posa a cavalcioni di un asino. A differenza delle altre maschere romane, ha un’identità riconoscibile: era lo straccivendolo di Campo de’ Fiori Luigi Guidi, diventato famoso nel 1807, dopo una burla a danno dei francesi. Il campione di scherma Albert Thomegueux, infatti, dalle pagine di un giornale sfidò pubblicamente a duello qualsiasi italiano, sicuro della sua superiorità. Gli rispose il “Generale La Rocca” e le risate, nell’Urbe, si sentirono fino a Parigi. Luigi Guidi, infatti, era già una celebrità: a ogni carnevale sfilava sul suo asino nelle vesti dell’inesistente Generale Mannaggia La Rocca da Piazza del Popolo fino a Piazza Venezia, con elmetto e sciabola. Al suo seguito, un esercito di straccioni mentre la folla, intorno, gli lanciava contro coriandoli e verdure.
CASSANDRINO
Prima di tutto, arriva la voce: nasale e acuta; poi, segue il copricapo a unicorno e la parrucca incipriata. Le scarpe sono eleganti, con la fibbia, e sul busto porta una giubba a coda di rondine: è Cassandrino, un’altra delle maschere del carnevale romano. è un buon padre di famiglia, un po’ credulone, borghese ma originario di una nobile famiglia. La sua frase più famosa è: “Solo Preti Qui Regnano”, a prendere in giro l’acronimo SP.Q.R. Se fosse una statua, probabilmente sarebbe associato a quella di Pasquino perché la sua voce è quella che porta per tradizione le lamentele contro le decisioni del Papa.
DON PASQUALE DE’ BISOGNOSI
La bella vita, prima di tutto, e il lusso. Questo è ciò che piace a Don Pasquale de’ Bisognosi, la maschera di Roma più legata alle classi agiate e, infatti, il suo nome – che gli ricorda costantemente la povera gente – non gli piace affatto. Il suo abito è elegante, come si confà a un uomo del suo lignaggio, con una palandrana lussuosa, pantaloni al ginocchio, scarpe lucide con la fibbia e una parrucca grigia e incipriata. Ama divertirsi e stare con le belle donne (cerca sempre una moglie per risposarsi) ma non è troppo intelligente: diventa spesso lo zimbello delle signore e della sua stessa servitù.