In cima al Gianicolo, di fronte alla chiesa di San Pietro in Montorio, si può far visita al Mausoleo Ossario Garibaldino, il grande monumento innalzato alla memoria dei caduti per Roma. Nel sacello sono custodite poche spoglie, molte di soldati privi di identità. Il posto d’onore, però, è riservato alle ceneri di un giovane eroe che l’Italia intera conosce: Goffredo Mameli, l’autore del nostro inno nazionale.
Goffredo non ha neppure vent’anni quando scrive le parole del Canto degli Italiani. È il 10 settembre 1847. In quel testo egli riversa tutto l’ardore e l’amor patrio che gli brucia dentro. Sentimenti che lo spingono a partecipare in prima persona ai grandi eventi del Risorgimento, come l’insurrezione armata delle Cinque giornate di Milano. Nel novembre del 1848, quando papa Pio IX fugge a Gaeta e a Roma viene proclamata la Repubblica, Mameli accorre per dare il suo contributo alla causa.
È qui quando sopraggiunge l’esercito francese, deciso a riportare il pontefice sul suo trono. Combatte al fianco di Garibaldi, che ha grande fiducia in questo giovane patriota, tanto da farne il proprio aiutante di campo. Nella notte tra il 2 e il 3 giugno, i nemici lanciano un attacco a tradimento, rompendo la tregua precedentemente concordata. Sono ore di fuoco sul Gianicolo. I soldati della Repubblica Romana cercano in ogni modo di respingere i francesi. Più volte perdono e riconquistano Villa Corsini, importante presidio strategico sul colle. Verso sera, proprio il giovane Mameli guida l’ultimo disperato assalto alla villa. Nel corso dello scontro, un proiettile nemico lo colpisce alla gamba. Lo portano via su una barella, pallido e sanguinante. Purtroppo, la ferita viene curata in modo approssimativo. Subentra la cancrena. La sua terribile agonia si conclude più di un mese dopo, il 6 luglio 1849. Non si sentono più fischiare pallottole da due giorni: la Repubblica Romana è caduta.
(Sara Fabrizi)